Spiritualità mariana. Maria educatrice di Gesù

Proseguono le catechesi mariane nella Basilica del Rimedio organizzate per il 70mo anniversario dell’incoronazione della statua della Madonna.

Pubblichiamo l’ultima, tenutasi a gennaio, a cura del prof. Stefano Pilia


Nella tradizione secolare della Chiesa si è giunti presto, anche dal punto di vista dottrinale, a parlare della Madonna come la Madre di Gesù e, dunque, come Madre di Dio (Concilio di Efeso, 431 d.C.). La prerogativa di educatrice, tuttavia, era detta della Madre di Cristo in riferimento a noi, così che noi, attraverso il prezioso esempio di creatura scelta e donata a Dio, potessimo imparare a vivere le virtù evangeliche in Lei riassunte e cantate in maniera mirabile. Eppure, ed è un dato assolutamente scontato, in ogni tempo e in ogni epoca della storia, anche sacra, si sa che ogni genitore non è tale solo per la generazione fisica di figlio o di figlia, ma è tale perché ne cura la crescita umana, psicologica, morale e spirituale. E di Maria in rapporto a Gesù? Perché si è stentato a dire altrettanto?

Un gigante del cristianesimo e della teologia, qual è San Tommaso d’Aquino, su questo argomento è stato chiaro: per lui Gesù non poteva avere un maestro umano. Non è proprio del Precettore essere istruito, ma istruire, ha scritto, non si addiceva alla Sua dignità l’essere ammaestrato da un uomo (STh III q. 12, a. 3). Insomma, quella di educatrice non era, per Tommaso, una relazione reale ma solo di ragione. Senza addentrarci in questioni prettamente teologiche, è evidente che, nonostante la tradizione cristiana sin dai primi tempi abbia definito la piena umanità di Gesù, l’idea che egli potesse essere addirittura educato da Maria (e da Giuseppe), come ogni figlio dell’uomo, era stata in qualche modo scartata, resa inconsistente in quanto Messia e Figlio di Dio, Signore. Quindi, in rapporto a Gesù, Maria non poteva essere che discepola.

Ma, ci domandiamo, può una maternità non essere considerata in relazione al figlio? Non è forse nella relazione speciale con ciascun figlio che la donna apprende a essere madre? In questo senso, nella lettera enciclica Redemptoris Mater, Giovanni Paolo II sembra dare una risposta quando scrive che è essenziale alla maternità il fatto di riferirsi alla persone (n. 45); inoltre, il teologo wojtyliano J. Galot, aveva già scritto che la maternità non consiste soltanto in un atto di generazione ma costituisce una relazione permanente da persona a persona e nel 2000 la Pontificia Academia Mariana Internationalis, trattando alcune questioni teologiche scrive: Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Messia e Salvatore, è nato da Maria, carne della sua carne: ella lo ha concepito, lo ha dato alla luce, lo ha allattato al suo seno verginale, lo ha educato, insieme con Giuseppe, suo sposo, nella tradizione del suo popolo (La Madre del Signore. Memoria presenza speranza, n. 45).

Ed è questo un punto chiave: Gesù è divenuto Figlio di Adamo (Lc 3, 38) per Maria; grazie a Lei ha conosciuto le sue radici storiche di Figlio di Davide e per Lei è stato possibile il suo pieno inserimento nel popolo ebraico. Se, come si dice il piccolo Gesù ha avuto un esempio, lo ha avuto proprio dai suoi genitori, bravi ebrei. Apro una breve parentesi. Anche se l’ebraismo mostra tratti marcati di un certo maschilismo, gli studiosi non hanno dubbi sul fatto che la Tradizione rabbinica riconosce alla donna un ruolo positivo, fondamentale e insostituibile in rapporto all’uomo e alla famiglia.

La donna in virtù della sua femminilità, che comprende la sua predisposizione fisica alla maternità, manifesta col proprio essere una particolare partecipazione al mistero della vita e quindi all’azione creatrice di Dio, condizione che le permette un frequente rapporto con la dimensione della sacralità. È la madre che garantisce l’ebraicità della discendenza. Che la donna sia identificata come la custode e la testimone dei valori ebraici lo si vede  nel ruolo che ricopre nella liturgia domestica: infatti, i momenti culminanti delle festività ebraiche non avvengono in Sinagoga, ma nel calore della casa; attorno alla mensa, dove il segno della presenza divina è quello delle candele che solo la donna può accendere sottolineando così l’entrata del tempo di Dio, nel tempo della storia: la casa diventa uno spazio sacro nel quale la tavola comune diventa l’altare domestico.

Maria è una donna ebrea del suo tempo, testimone per il figlio dei valori di una prassi religiosa che egli stesso mostra di accogliere e vivere secondo l’osservanza tradizionale, visto che non è venuto per abolire la Legge ma per portarla a compimento. Pensiamo al Magnificat, in esso il riferimento alle Scritture ebraiche è abbondantissimo e mostra, inequivocabilmente, che Maria è cresciuta nella fede e nelle attese dei padri e delle madri ebree conoscendo bene i testi della Tradizione.

Nel racconto delle Circoncisione mostra una grande conoscenza e rispetto della legge mosaica: prepara alla maturità religiosa Gesù secondo i precetti della Legge e secondo quanto è prescritto dalla tradizione. Gli studiosi fanno notare che tutto ciò riguarda l’ebreo maschio; alla donna non è richiesta nessuna forma di circoncisione in quanto nasce già nel pieno possesso dei suoi diritti ebraici; la sua può essere definita come ebraicità compiuta fin dalla nascita. Nella Presentazione al Tempio, è evidente che, quella di Nazareth non è una famiglia ricca, ma sicuramente osservante della Toràh. Come ogni altra donna di Israele Maria, con questo gesto, esprime il suo essere penetrata nel mistero divino attraverso la trasmissione della vita, sperimentando la sacralità che da tale esperienza deriva.

Quando l’evangelista Luca (2, 52), dice E Gesù cresceva in sapienza, età/maturità e grazia davanti a Dio e agli uomini, gli studiosi fanno notare che il termine greco [elikía] non comprende solo l’età anagrafica, ma anche la maturità umana: e questo rimanda direttamente al rapporto educativo di Gesù con i genitori e, per il ruolo della donna nella famiglia e nella comunità di cui abbiamo parlato prima, al ruolo fondamentale di Maria educatrice. Dopo il ritrovamento di Gesù nel Tempio fra i dottori, se è vero che Gesù sembra riportare i genitori sul piano divino (Sono venuto per fare la volontà del Padre mio), l’evangelista aggiunge il particolare della sottomissione. Gesù, il Messia, sta sottomesso all’autorità della famiglia, dunque all’educazione che, da buon ebreo, stava sperimentando.

Nel medesimo tempo, Maria, l’educatrice, serba nel cuore ciò che accade, ne fa tesoro e si fa a sua volta educare dal figlio. Per chiudere. Come per ogni figlio dell’uomo, anche Giuseppe, ma in particolare Maria, sono stati come un piano inclinato attraverso il quale Dio ha incontrato l’umano in Gesù in un preciso momento storico e in una cultura ben precisa. L’azione educatrice è stata come un creare le condizioni fondamentali per fare di Gesù un ebreo del suo tempo, per introdurlo fra la sua gente accompagnandolo e connettendolo nelle tradizioni culturali e religiose della Palestina di quel periodo. In questo preciso contesto Gesù ha inserito la Sua Rivelazione: non come abolizione della tradizione mosaica, ma come compimento, attraverso la comunicazione di un amore trinitario non limitato ad un territorio o ad una cultura, ma a tutto il genere umano, a tutte le culture. Sarebbe stato possibile questo senza l’azione educativa di Maria?