Il 5 febbraio è stata celebrata la 45ma Giornata Mondiale per la Vita

Non possiamo tralasciare nessuno e dobbiamo farci promotori instancabili di una genuina cultura della vita

Nel messaggio per la 45a Giornata nazionale per la Vita, i Vescovi italiani richiamano l’attenzione sul progressivo diffondersi di quella che già Giovanni Paolo II chiamava la “cultura della morte”.

Bisogna constatare con profonda preoccupazione «come il produrre morte stia progressivamente diventando una risposta pronta, economica e immediata a una serie di problemi personali e sociali». È come un virus culturale che pian piano ci contagia tutti, spesso senza rendercene conto, e che porta a convincerci che la morte abbia un qualche valore, che sia un dovere infliggerla a chi la chiede come diritto proprio, ma anche quando, senza alcuna richiesta, giudichiamo arbitrariamente che sia nel “miglior interesse” dell’altro! «Forse è perché abbiamo perduto la capacità di comprendere e fronteggiare il limite e il dolore che abitano l’esistenza, che crediamo di porvi rimedio attraverso la morte?». Nel nostro sistema immuno-valoriale collettivo si è aperta una falla e quanto più diventa larga tanto più è difficile contrastarla, ripararne i danni, riacquistare lucidità di giudizio, rinvigorire la volontà di realizzare il nostro vero bene. In altre parole si sta scivolando sul pendio dell’assuefazione alla morte inflitta, della sua banalizzazione,  verso un’irragionevole pervertimento dei valori umani. Per questo il tema proposto quest’anno è «la morte non è mai una soluzione. “Dio ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte” (Sap 1,14)».

Il vero bene per ciascuno di noi è la vita; in nessun caso può esserlo la morte, la quale neppure si può accettare come mezzo per ottenere un qualche bene. La vita è il bene originario e fondamentale che abbiamo perché in definitiva si identifica con la nostra stessa persona. La mia vita sono io! E io, grazie alle caratteristiche della mia natura umana, ho dignità, cioè un valore incondizionato e permanente. Senza la mia vita, senza di me, è del tutto insensato pensare di ottenere e godere altri beni. Specularmente la morte è la negazione di ogni bene, in quanto cancella il soggetto che potrebbe goderne.

Ogni uomo, in ogni età e al di là di qualsiasi condizione di salute, di sesso, di cultura, di censo, di religione, conserva la sua natura; da essa deriva la sua dignità e da questa il suo diritto primordiale ad esistere e a vivere nel miglior modo possibile. Tristemente significativa è la rassegna, che i Vescovi fanno nel loro messaggio, delle situazioni in cui la morte viene cercata come soluzione a diversi problemi: l’aborto, l’eutanasia, il suicidio, assistito o meno, le violenze sui bambini, l’uccisione del proprio partner affettivo, l’abbandono al proprio destino di migranti, poveri e senza fissa dimora, la guerra e la distruzione del creato. È importante evidenziare il carattere ampiamente inclusivo e attuale di questo elenco, perché spesso ci si divide, anche tra cristiani, tra chi si dedica a contrastare il fenomeno abortivo, trascurando le sofferenze ad esempio dei migranti e chi si batte per il rispetto di questi ultimi, sminuendo la vita dei nascituri. Per essere coerenti difensori della dignità e della vita di tutti, non possiamo tralasciare nessuno e dobbiamo farci promotori instancabili di una genuina “cultura della vita”.

«Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – osservano i Vescovi – ci indica una strada diversa: dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita … Ci esorta a educare le nuove generazioni alla gratitudine per la vita ricevuta e all’impegno di custodirla con cura, in sé e negli altri». Ciò che, per quanto ci è possibile, dobbiamo combattere e togliere, non sono le persone, ma ogni realtà che le ferisce, le sminuisce, le sfigura, le opprime, le fa soffrire, ciò che impedisce alla loro vita di fiorire e di essere goduta, in ogni sua dimensione, con i suoi limiti naturali e nonostante la sua insuperabile fragilità. È un impegno che credenti e non credenti possono condividere, «mobilitando sempre maggiori energie e risorse», perché la vita è interesse di tutti, è il valore umano fondamentale e universale.

Stefano Mele, docente di Bioetica