La Passione di Cristo nella tradizione sarda

Con la processione de sas chircas il Cristo viene cercato e trovato. Dopo queste processioni si può quindi inscenare la crocifissione o s’incravamentu. La pratica di questo rito è presente in molti paesi della Sardegna con poche varianti. In questo rito vengono usati antichi simulacri snodabili che rendono più realistica la messa in scena. Il corpo del Cristo viene innalzato con fasce o lenzuola bianche e inchiodato. Questa scena è talvolta commentata da un sacerdote e accompagnata dal canto del Miserere o dello Stabat Mater delle confraternite. La deposizione del Cristo dalla croce è uno dei più antichi riti della pietà popolare. Viene celebrato solitamente il Venerdì Santo dopo la solenne Azione Liturgica.

Il canto dei cori confraternali rende reale l’atmosfera di lutto: sembra davvero che un uomo abbia cessato di vivere. Anche la Vergine assiste al dramma accanto all’altare come viva, paralizzata dal dolore. Due confratelli impersonano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Su due vassoi recano le tenaglie e un velo bianco con cui caleranno Gesù dalla croce. Nel compito verranno aiutati da altri confratelli che impersonano i discepoli. Altri confratelli portano la lettiga in cui verrà deposto il corpo. I discepoli salgono lenti sulle scale; tolgono la corona di spine dal capo del Cristo, la mostrano al popolo e viene poi posta in capo alla Vergine o ai suoi piedi. Passano poi un panno attorno al petto e alle braccia del Cristo. Tolgono poi i chiodi che vengono presentati al popolo e poi consegnati alla Vergine.

Il Cristo viene poi calato dalla croce, presentato alla mamma e infine deposto in una lettiga che verrà portata in processione per s’interru. La tradizione delle sacre rappresentazioni trova un terreno fertile anche in Sardegna. Diversi autori scrivono poemi, gosos o veri e propri spettacoli. Possiamo pensare a Giovanni Delogu Ibba, Melchiorre Murenu, Bonaventura Licheri, frate Antonio Maria da Esterzili. Grazie al noto studioso Giampaolo Mele, anche la nostra Arcidiocesi può vantare di possedere il testo di un’antica rappresentazione della Passione di Gesù. L’autore di questo testo è a noi ignoto. Mele sostiene che si tratti di un manoscritto, fonte inedita del primo Settecento, che, molto probabilmente è circolato nell’ambiente della confraternita domenicana del Rosario di Oristano. Questa fonte è attualmente custodita, con la segnatura ms.2, nell’Archivio del Monastero di Santa Chiara di Oristano. Questo manoscritto deve avere avuto rapporti con l’ambiente liturgico – musicale della Cattedrale di Oristano.

A un certo punto nel f.86 troviamo una passione in versi sardo – logudoresi intercalata da illustrazioni. Il titolo è La Passion de Nuestro Senor Iesu Christo. Come scrive il prof. Mele: Si tratta di un testo importante sotto diversi punti di vista, poiché, come sappiamo, sono relativamente pochi gli esempi di drammatica religiosa sarda e sinora nessuno proveniva da fonti oristanesi. Il carattere drammaturgico dei versi è attestato da didascali castigliane come vanse, Buelve à los Apostoles, Baja el Angel, Sale el Marrador y despues dos Judios y plantan la Columna. Nelle stesse didascalie si fa riferimento costante a punto, seguito dalla parola lamento o corrida. Forse quest’ultimo termine va interpretato come de corrida, nel senso cioè che quel passo andava letto senza attardarsi o, ancora più probabilmente, senza intonazione, in contrapposizione quindi alle parti cantate, che, presumibilmente, erano i lamenti. Purtroppo né il manoscritto, né altre fonti ci hanno tramandato le note musicali che dovevano rivestire questi lamentos. L’argomento è basato sulla narrazione evangelica di Mt 26-27e Gv 18-19. La Passione si realizzava, forse, nella stessa Cattedrale di Oristano, nell’ambito delle funzioni del Venerdì Santo, giorno particolarmente sentito in ambito confraternale. Non sappiamo se Giorgio Obino, compilatore dell’antologia liturgico – musicale, sia anche autore della Passione e dei disegni. Nel testo sono incluse rare raffigurazioni del rito de Su scravamentu con la partecipazione dei confratelli.

A cura di Giovanni Licheri

Pubblicato su L’Arborense n. 12 del 2023