Francesco e Marco sono diventati sacerdoti: annunciatori e testimoni

Le parole dell'Arcivescovo Roberto nell'omelia della solenne concelebrazione in Cattedrale

Carissimi Francesco e Marco, fratelli e sorelle,

apriamo le mani stasera, come Chiesa diocesana, per ricevere dal Signore un dono grande. Non si tratta di cose esteriori o di beni corruttibili, ma della vita, dell’entusiasmo, della generosità di due giovani che hanno detto al Signore. Essi hanno accolto l’invito di Gesù che ha detto loro: Venite e vedrete (Gv 1,39).

Un cammino iniziato tanti anni fa, nato da un desiderio, a somiglianza dell’evangelico granello di senape, che prima minuscolo e modesto si è poi trasformato in un grande albero. Un’intuizione, ispirata dallo Spirito Santo, che lentamente si è fatta strada nell’animo e nella mente di questi giovani e che oggi viene manifestata in modo pubblico ed ecclesiale, dato che essa nasce nella Chiesa e per la Chiesa. Al loro desiderio fa eco la risposta e la conferma della Chiesa, che affida loro il mandato solenne a essere annunciatori della Parola di Dio, ministri dell’Eucaristia e della riconciliazione.

Come sanno bene Francesco e Marco, oggi non si dà loro un diploma o una medaglia; non si tratta di un privilegio da incorniciare, ma piuttosto di un servizio a Dio e ai Fratelli, da vivere con lo stile personale di ciascuno, con le loro qualità personali affinate da tanti anni di formazione. Essi sono chiamati a esercitare il ministero presbiterale come un servizio, in comunione con il loro vescovo e con tutta la Chiesa diocesana e universale, guidata con sapienza dal nostro papa Leone XIV, che la Provvidenza ha voluto chiamare come successore dell’apostolo Pietro.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato, traccia il percorso spirituale, direi quasi un progetto di vita, per questi nuovi presbiteri. In primo luogo, il testo degli Atti, dove l’apostolo Pietro, con parresia, parla di Gesù e del compito fondamentale del discepolo: essere testimone. Allora come oggi, ogni discepolo del Signore riceve il mandato alla testimonianza, vocazione in cui non è esente un certo grado di martirio. Ecco il primo compito dei nostri nuovi presbiteri: essere annunciatori e testimoni. Non si tratta di dire le proprie parole, le proprie intuizioni, di mettere in primo piano la propria intelligenza o le capacità oratorie, ma piuttosto di farsi annunciatori di Cristo in un mondo assordato da tante parole e tante proposte. La prima preoccupazione non dovrà essere quella di riempire le Chiesa, di escogitare trovate pastorali che possano attirare il consenso. Oggi, come nel passato, il mondo ha bisogno del Signore, della parola di Vita; tanti, specialmente i giovani sentono un desiderio di spiritualità che si presenta al principio come un bisogno generico, vaporoso, ma che attraverso la vostra testimonianza sarà guidato all’incontro con una persona: Gesù di Nazareth, il nostro Salvatore.

La seconda lettura, tratta dalla prima Lettera di Pietro, ci ricorda che ogni vocazione è un dono, non da custodire gelosamente per sé stessi, ma da offrire a piene mani a servizio degli altri. Pietro utilizza la parola amministratore della grazia di Dio. Ecco ribadito con forza il senso dell’ordinazione presbiterale: un dono da mettere al servizio degli altri. L’annuncio, la carità, l’accoglienza, ogni attività pastorale non è fine a sé stessa, né destinata a un successo effimero, ma orientata alla glorificazione di Dio, cioè a riconoscere che anche attraverso la nostra umanità Dio si prende cura dei suoi figli. Riascoltiamo le parole dell’Apostolo Pietro: ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo.

Il Vangelo ci consegna le parole di Gesù: non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. È qui disegnata la misteriosa azione della Grazia nel cuore di ognuno di noi e nel cuore di questi fratelli Marco e Francesco. È certo che c’è anche la loro libera decisione di servire la Chiesa. Essi nel lungo cammino intrapreso hanno fatto le loro scelte, che oggi portano a un che suggella un percorso ma ne apre altri. Sanno bene che tutto nasce da quell’ispirazione gratuita e intima che il Signore ha suscitato nel cuore; quella di servirlo nel mistero presbiterale a servizio della Chiesa. Scegliere di rispondere al Signore non è una decisione funzionale in vista del lavoro da fare, ma piuttosto si tratta di stabilire saldamente una relazione tra amici. Che bella questa parola, amici, dove si definisce il nostro rapporto con Gesù; un rapporto profondo, personale, di fiducia e abbandono. Non un incarico di lavoro, ma appunto una relazione di amicizia, di amore, dove il servizio è il modo di manifestare la propria adesione, l’entusiasmo del . Ma l’amore del Signore non permette pigrizie, bensì ci invia a portare frutto. Ecco allora che questa vocazione non è statica, ma dinamica: Andate e portate frutto e il vostro frutto rimanga.

In conclusione, cari Francesco e Marco, questo è l’identikit del presbitero che oggi consegno alla vostra riflessione: sentirsi inviati dal Signore, che vi chiama amici, non a proprio vantaggio ma al servizio dei fratelli e delle sorelle, portando le parole del Vangelo, amministrando con sapienza la Grazia di Dio attraverso la quale tutti i fedeli sono chiamati all’unione profonda con il Signore.

Celebriamo questa ordinazione presbiterale a conclusione del mese di maggio, dedicato tradizionalmente alla Madre di Gesù, Maria. Sia essa a condurvi all’incontro con il suo Figlio, all’ascolto attento alla Sua Parola. Ella, infatti, ripete a voi e a noi tutti: fate quello che Egli vi dirà. Amen.

+ Roberto, Arcivescovo