Omelia della notte di Natale

24-12-2019

NATALE 2019 – ORISTANO
Messa della notte

Carissimi fratelli e sorelle, il Signore vi dia Pace!
1. Il tempo di Avvento, che abbiamo vissuto come comunità cristiana, è stato caratterizzato dalla scansione di due momenti importanti. Il primo che ci ha ricordato con insistenza che il Signore Gesù ritornerà, verrà di nuovo e dunque siamo chiamati a vigilare perché non ci trovi distratti, superficiali, con il cuore e la mente lontani da Lui. Il secondo momento che ci invita a concentrarci sulla Sua venuta nella storia. San Paolo ce lo ricorda con una frase lapidaria: “Nato da donna, nato sotto la legge”. La Liturgia della Parola di questa Santa Notte e i segni che ne accompagnano la memoria viva e solenne, ci ricordano che Gesù è entrato nella nostra storia; ha una madre: Maria, che insieme a Giuseppe formano la sua famiglia che lo accoglie e lo protegge; ha posto, come dirà l’evangelista Giovanni, la sua “tenda” in mezzo a noi. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ce lo dice con una frase sobria: “Diede alla luce il figlio primogenito e lo avvolse in fasce” (Lc 2,7)

2. Sentiamo più che mai necessaria questa insistenza sul fatto storico della venuta del Salvatore, della sua nascita in un tempo preciso, in un luogo preciso, da una madre, perché esiste sempre la tentazione di ridurre il “fatto Gesù” a pure favola, ad avvenimento mitico, a un indistinto “ spirito del Natale” che non sappiamo cosa sia e a cui purtroppo in modo sempre più insistente di mescola il commercio, dove la bontà, la giustizia, il rispetto, l’accoglienza sembrano così legati solo al “bere e mangiare” da farci perdere il senso vero di questa celebrazione.

3. Come cristiani dobbiamo riappropriarcene nel suo significato più profondo. Certo rispettiamo coloro che hanno altra fede o nessuna, o coloro che vedono in questo periodo solo una occasione di festa o di riunione familiare, cosa di per sé positiva. Ma non possiamo mescolare le cose. Il Natale, la “nascita” di cui facciamo memoria è di quel Bambino nato a Betlemme. Come ci ha ricordato più volte Papa Francesco: Se togliamo Gesù, che cosa rimane del Natale? Una festa vuota. Non togliere Gesù dal Natale! Gesù è il centro del Natale, Gesù è il vero Natale!”.

4. Lo ripeto: per noi cristiani la radice profonda del motivo della festa è questo: L’invisibile si è fatto Visibile; “i nostri occhi” dirà s. Giovanni, lo hanno contemplato. L’intoccabile, si è fatto toccabile dalle nostre mani. Prima di Lui eravamo smarriti, nel buio, desolati per una esistenza che inizia e finisce senza significato. È Lui che ha acceso in quella notte e per tutte le notti, anche in questa notte, la luce che ci guida, illumina il nostro percorso e da significato alla nostra vita. Ecco allora che non dobbiamo avere timore di dire: in primo luogo il Natale è una Persona. È la Parola che Dio ha pronunciato per noi e che è venuta in mezzo a noi! La fede cristiana non è una filosofia o un insieme di regole morali o una pia favola, ma è una persona: Gesù Cristo! Noi infatti seguiamo una persona, ricordiamo una persona, amiamo una persona. In un punto preciso del cammino dell’umanità si accende una luce, scaturisce la piccola scintilla che si trasformerà in grande incendio. Un fatto! Non una favola, non un pio racconto per consolarci, non una costruzione a tavolino per dare dignitoso passato al nostro presente. Come sono attuali le parole di san Pietro nella sua seconda lettera: «Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza». La nostra fede si poggia su un fatto che appartiene alla storia dell’umanità, la spartisce in un prima e dopo, l’illumina e le dà senso. Non abituiamoci alla stravolgente novità di quel fatto! Riappropriamoci dello stupore di questa buona notizia che possiede il volto e il sorriso del bambino di Betlemme. Di fronte alla grotta lasciamo risuonare nel nostro cuore l’inno di Paolo ai Filippesi: «spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini». Aiutiamo i bambini a comprendere, dinanzi al presepe, che quello che mostra quella scena è la memoria importante di come Dio ha voluto avvicinarsi a noi: nella povertà e umiltà, per farsi prossimo, perché non avessimo paura. Il presepe, anche se non ce ne rendiamo sempre conto, è una predica eloquente. Proprio così l’aveva pensato S. Francesco in quel Natale di Greccio del 1223. Vedere la concretezza di quella nascita, la povertà, l’umiltà dell’Incarnazione, l’accoglienza delle persone semplici. In questi giorni, ci dicono le statistiche di mercato, c’è stata una grande corsa all’acquisto del regalo. Un fatto culturale ormai legato strettamente all’economia. Si chiedeva ancora qualche anno fa: cosa ti ha portato Gesù Bambino? Per noi risponde il grande Ireneo di Lione: Nel suo Natale, nella sua Incarnazione Gesù non ha portato nient’altro che sé stesso. (Adversus haereses, IV, c. 34, n.1: “Omnem novitatem attulit, semetipsum afferens”). La sua persona è il dono massimo e più grande per noi. Ma cosa ci dice il Natale? Di fronte all’evento così umile e ordinario, in cui gli occhi faticano e vedere, è solo la contemplazione che ci svela il Mistero: Dio si fa vicino. Dio si fa toccare, si fa ascoltare, si fa guardare. Una verità che dà le vertigini: come può l’Immenso racchiudersi nel piccolo? Come può l’Onnipotente avere fame e sete, piangere e sentire angoscia? Come può l’Eterno farsi tempo? Siamo tentati di allontanare un Dio che si presenta così diverso dalle nostre idee di divinità. Ci scandalizza e facciamo fatica ad abituare i nostri occhi alla luce della Sua presenza: «venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» Eppure sta qui la novità dell’annuncio cristiano: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio».

5. Infine, Il Natale è speranza! Mi sono chiesto: “Come vivranno queste feste le famiglie della nostra diocesi? i bambini, i giovani, gli uomini e donne del nostro territorio? Sto muovendo i primi passi nella conoscenza della comunità cristiane, ma la gente, i parroci, mi ripropongono le luci e le ombre che tutti conosciamo bene: il desiderio di reagire ma anche la povertà del nostro territorio, la mancanza di lavoro; la volontà di progettare ma anche la partenza dei giovani, le poche prospettive per il futuro; la volontà di non far morire i piccoli centri ma anche la realtà dell’invecchiamento della popolazione.

6. Nonostante questo quadro a volte cupo, dobbiamo celebrare nella Incarnazione del Signore la Speranza. Nel nostro mondo ci sono fermenti di cambiamento che vanno incoraggiati. I giovani sentono che il loro futuro e il destino del pianeta ha bisogno di risposte urgenti, specialmente da parte degli adulti, di coloro che detengono il potere. Non possiamo deludere questa speranza di un futuro dove sia rispettata la dignità di tutti. Anche noi siamo chiamati a rendere noi stessi “speranza” per quanti incontriamo. Restituiamo alle nostre relazioni la capacità di generare speranza specialmente a color che sembrano averla perduta: il dono di una parola, l’ascolto amichevole, un aiuto anche economico. Offriamo amicizia e tempo che scaldi il cuore. Ecco allora che il Natale di Gesù è un “generatore di relazioni”: con Lui e attraverso di Lui siamo rientrati in relazione di amicizia con Dio Padre; ma anche abbiamo un senso diverso alle relazioni tra noi: se Egli è venuto per ognuno di noi in ognuno dobbiamo vedere il motivo del grande dono che Dio fa di sé stesso.

+ Roberto, vescovo