Omelia per la commemorazione dei fedeli defunti

02-11-2019

Fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace!

Ogni anno il ricordo dei nostri defunti ci mette di fronte, con una certa forza, alla realtà della morte che la nostra società in vari modi cerca di mascherare e cancellare, quasi anestetizzando il pensiero che il nostro tempo non è eterno. La Scrittura, nel salmo 89 ci ricorda: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo 89, 12). Pensare alla nostra fragilità e caducità, alla nostra condizione di mortali, non è dunque per il credente motivo di angoscia o un pensiero morboso, quanto piuttosto fonte di sapienza e invito a valorizzare il tempo di vita che ci è concesso, a non sprecarlo, a seminare il bene.

Sul finire della sua vita, san Francesco d’Assisi, sentendo avvicinarsi il giorno del suo incontro con il Signore, fece aggiungere al Cantico di frate Sole un’altra strofa, sorprendente per noi: “Laudato Si, mi Signore, per nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun uomo può scappare”. Ci sconcertano queste parole del Santo di Assisi, perché ci chiediamo: come può chiamare “sorella” la morte, dalla quale tutti noi fuggiamo, di cui abbiamo paura, che spesso nascondiamo a noi stessi?

San Francesco arriva ad esprimersi così, perché queste parole descrivono una realtà interiore che è frutto di un lungo cammino di spogliazione di sé stesso. Egli infatti dopo la sua conversione ha cercato con l’aiuto di Dio in tutti i modi di togliere da sé quella tendenza ad “appropriarsi di ogni cosa” che ciascuno di noi ha profondamente insito nella propria natura e che nutre il timore della morte: la tendenza ad appropriarsi delle cose, degli altri e anche di Dio. Francesco di spoglia di sé, questa è la sua profonda povertà, e si mette completamente nelle mani del Signore. Per questo motivo può chiamare “fratello e sorella” le creature, gli uomini (per lui non vi sono nemici) e anche le situazioni della sua vita (malattia e morte).

L’espressione di san Francesco ci ricorda in modo speciale la nostra creaturalità e mortalità. Non siamo eterni, siamo limitati, soggetti alla caducità. Ma al tempo stesso sentiamo in noi in profondità che possiamo andare oltre i nostri limiti perché abbiamo una promessa di immortalità, una scintilla divina, una parola che dice “eternità”.

Il ricordo che facciamo dei defunti, e in questa giornata in modo particolare come evento comunitario, intreccia queste due realtà esistenziali e spirituali: la consapevolezza della nostra e altrui creaturalità e caducità e al tempo stesso la Speranza di una vita “oltre” di una permanenza del nostro cammino esistenziale che non si dissolve ma segna la storia e rimane nella memoria di Dio.

È la fede in Cristo che ci fa annunciare e credere questa verità. Diciamo infatti nel Credo, cioè nella proclamazione della nostra fede, nel fondamento solido in cui crediamo: “Credo la resurrezione della carne e la vita del mondo che verrà”.

Dunque l’affermazione della Speranza di una vita con Dio e nella Resurrezione deve oggi affiancarsi al ricordo dei nostri cari defunti. Ci fidiamo della Parola di Gesù che ci ha parlato del Dio dei Vivi e non dei morti. Ci fidiamo della Sua autorevole parola che ha detto: Io sono la Resurrezione e la Vita. Ci fidiamo della manifestazione della Sua potenza di fronte alla morte in Croce, quando ha annunciato la Sua Resurrezione e poi è risorto, come ci attestano autorevolmente i testimoni e come noi stessi sentiamo nel nostro cuore.

Noi diamo fiducia a Gesù, Figlio di Dio, alla Sua parola, perché tutta la Sua vita ha manifestato una profonda verità ed ha dato prova della sua autorità. Ecco, oggi facendo memoria dei nostri defunti preghiamo per loro, li ricordiamo con affetto, ricordiamo il tanto bene che hanno seminato nella nostra vita e al tempo stesso li ricordiamo nella speranza che ci viene dalla nostra fede. L’affetto con cui circondiamo la loro memoria (fiori, ceri, preghiera) significano in profondità questa convinzione.

Fratelli e sorelle, la Chiesa ci invita a pregare per i nostri defunti perché in questa comunione tra una Chiesa che ancora cammina e l’altra che già ha raggiunto la casa del Padre si senta la comunione della fede in un unico Padre.

La nostra Eucaristia sia invocazione a Dio perché accolga i nostri fratelli e sorelle, e ringraziamento per ciascuno di loro per il bene che hanno portato nella nostra vita. Essa è anche suggerimento e riflessione per noi, per camminare nella via del bene come ci ricorda l’apostolo Paolo: “Dum tempus habemus operemur bonum”: facciamo il bene finché ne abbiamo occasione”.

+Roberto Carboni, arcivescovo