Omelia per la Festa di San Francesco d’Assisi

04-10-2019

La festa di San Francesco patrono d’Italia, ci offre l’occasione per ringraziare ancora una volta Dio nostro Padre che suscita nel cammino della Chiesa uomini e donne che in momenti difficili, sia della storia della Chiesa sia della comunità civile, sanno trovare, attraverso la loro obbedienza al vangelo e la loro santità di vita, nuovi percorsi di discepolato ma anche motivare tante persone alla speranza e alla carità. San Francesco è senza dubbio uno di questi santi.

Il fatto che sia così lontano da noi nel tempo (più di 800 anni) non ne ha intaccato la sua attualità né il suo messaggio che possiamo sintetizzare in poche parole: è stato un discepolo fedele di Cristo, amando il Signore e la Chiesa e amando i poveri e ogni uomo e donna, che chiamava fratello e sorella,come immagine di Dio.
Se parliamo di San Francesco è solo per far risaltare la sua totale disponibilità alla Parola del Signore, che lo ha trasformato e messo -come dice il vangelo – sul candeliere, perché faccia luce a tutti quelli della casa, cioè a noi, la comunità cristiana, anzi potremmo dire anche a coloro che non sono cristiani, già che san Francesco è uno di quei santi universali conosciuti e amati anche nelle altre religioni.

Per comprendere la sua avventura umana e il suo insegnamento spirituale non vi è porta di accesso più opportuna che quella di avvicinarci ai suoi scritti,a quando egli stesso dice di sé, giacché sappiamo talvolta l’agiografia carica la sua vita di sovrastrutture che non gli rendono giustizia.
Uno dei testi importanti di Francesco è proprio il suo Testamento, uno scritto rivolto ai frati presente e futuri, con le ultime raccomandazioni per la sua fraternità, sulle cose che egli sente più urgenti, importanti: l’amore alla Chiesa, la povertà, la fraternità, l’Eucaristia, che egli fa scrivere in prossimità della fine che sente vicina. Non si tratta di un “testamento” nel senso che noi diamo a questa parola: infatti san Francesco non aveva niente da lasciare ai frati o ai suoi familiari. È l’uomo povero che ha scelto la povertà e anche la sua tonaca, sul letto di morte, dicono le biografie, gli viene prestata. Così egli dice dunque nel suo Testamento: “Il Signore concesse a me, frate Francesco di incominciare cosi a far penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo”.

Nella celebre pagina della Perfetta letizia (FF 278), troviamo su san Francesco una affermazione, fatta per bocca di un suo confratello che ci lascia sconcertati: “Vattene, tu sei semplice ed idiota, qui non ci puoi venire ormai…”. Nessun frate si è mai permesso di dire questo a San Francesco, ma è lo stesso Francesco che dice questo di sé stesso: “Semplice ed idiota”. Egli intende dire che non è un uomo di cultura; la parola idiota conserva qui ancora la sua radice greca di “cittadino privato, senza cariche… rozzo, senza educazione”.

Sappiamo dalla biografia che Francesco non ha fatto studi o scuole particolari se non quelle che gli hanno permesso di poter scrivere, conoscere un po’ di latino, saper fare di conto insomma cose utili per un mercante del tempo che doveva occuparsi di commercio e viaggiare. Eppure, questo uomo “incolto” ci ha lasciato più scritti di S. Domenico. Fra tutti gli scritti emerge in modo particolare il suo “Testamento”. Nel Testamento, Francesco porta i ricordi personali, ammonisce i frati e infine li benedice. La sua esperienza spirituale personale racchiusa in poche parole.

Francesco è stato sempre molto avaro di notizie sulla sua vita interiore e anche sulla sua esperienza personale prima della conversione. Solo in questo testo per un momento egli solleva il velo che avvolge, esperienza unica e fortissima della sua conversione. Ogni parola ha qui un peso enorme, ha un richiamo a mille situazioni che noi poi intravediamo raccontate dai biografi e che ci aiutano a ricostruire, almeno parzialmente il suo itinerario spirituale “Essendo io nei peccati”.
Questa espressione di Francesco ha creato, nei biografi non poche difficoltà. Combattuti fra esagerazione in un senso (esagerare la vita di peccato per far risaltare meglio poi la conversione) o nell’altro (tacere aspetti molti umani di Francesco già canonizzato dalla chiesa).

Troviamo traccia di questo problema nella tre biografie principali del Celano e di san Bonaventura. Senza
cadere noi stessi negli estremismi che vedono la giovinezza di Francesco o tutta negativa o tutta positiva, dobbiamo dire che egli era un giovane del suo tempo, e dunque partecipava alla cultura della sua situazione; ciò non toglie che egli sia stato immune da esagerazioni o aberrazioni che vengono descritte nelle cronache di quel tempo.

Quello che noi desumiamo dalle biografie e da questo accenno del testamento è che Francesco, rileggendo la sua storia, percepisce sé stesso come non in sintonia con il Signore (essendo nei peccati). Le biografie ci fanno intravedere un uomo vanitoso e portato a far colpo; che usa il denaro per apparire; che viene coinvolto nella guerra (che era dura, crudele e violenta) che si nutre di ideali che per quanto cavallereschi, hanno in sottofondo l’ideale guerriero ecc. Possiamo forse dire, come capita ai santi, che egli percepisce sé stesso come peccatore, a mano a mano che la presenza di Dio e la sua grazia si fanno più chiare. È certo comunque che il suo cammino spirituale nasce da questa consapevolezza: essere nei peccati significa riconoscere sé stessi nella verità e anche riconoscere Colui che mi sta dinanzi nella sua grandezza, cioè Dio.
Vedere i lebbrosi… Già la tradizione biblica ci ha mostrato il posto che aveva… o meglio non aveva… il lebbroso al tempo di Gesù: era reietto, allontanato, morto socialmente. Al tempo di San Francesco le cose non erano diverse. Il lebbroso perdeva i suoi diritti sociali, era relegato nel Lazzaretto, doveva attenersi ad un duro codice di comportamento riguardo alle relazioni interpersonali. Insomma era una morte vivente.
La difficoltà poi a curare la malattia acuiva la distanza con le persone sane. Francesco unisce dunque nei confronti del lebbroso sia la generale ripugnanza sia forse una accentuazione dettata dalla sua situazione di figlio bene abituato a circondarsi di cose piacevoli, a fuggire tutto ciò che poteva infastidirlo. Il Signore, ci spiega Francesco, lo aspetta proprio in quella situazione difficile: l’incontro con un diverso, con un escluso, con un emarginato.
È come se Francesco accettando di vedere i propri peccati avesse iniziato ad aprire gli occhi che gli permettono ora di vedere oltre le apparenze, oltre l’apparenza del lebbroso.
È talmente forte questa esperienza mistica che Francesco la mantiene nel suo cuore, come l’evangelista Giovanni ha mantenuto, nel racconto della vocazione, l’ora dell’incontro: “Erano le quattro del pomeriggio”.
Dunque l’esperienza spirituale di Francesco ha due movimenti: riconoscere sé stesso (essendo io nei peccati); riconoscere nell’altro diverso da me una persona (avvicinarsi, toccare ecc.).

Incominciare a fare penitenza.
Il termine “penitenza” ha molte valenze nella vita di Francesco d’Assisi:
Uomo della penitenza (nel senso di appartenente al movimento penitenziale)
Uomo della penitenza – conversione (metanoia),
Uomo delle penitenze cioè delle mortificazioni.
Ognuna di queste angolature ha influito ed è presente nella vita di Francesco. Nel medioevo esiste nella chiesa un forte rigore penitenziale.

Francesco uomo “convertito”, fare penitenza di Francesco appare però nella sua vera profondità quanto vediamo questo termine nel senso della conversione che si viene operando in lui secondo tre ambiti:
Conversione intellettuale (nuovo modo di considerare le cose; quello che mi sembrava amaro mi fu tramutato in dolcezza).
Conversione morale (nuova scala di valori: umiltà al posto della gloria; povertà al posto della ricchezza, castità al posto del divertimento e della sensualità).
Conversione religiosa: mettere Dio al primo posto: “D’ora in poi dirò: Padre nostro che sei nei cieli.

Vedo un andamento circolare in questa esperienza, poiché l’incontro con il lebbroso è segno di conversione che a sua volta fa leggere dentro di sé e vedere la propria creaturalità che poi porta a vedere l’altro come fratello e non come nemico.

In conclusione…
Ancora una volta l’esperienza cristiana di San Francesco d’Assisi, cosi vicina a noi nelle sue dinamiche, ci invita proprio a percorrere queste tra cammini della conversione:
Conversione intellettuale: un nuovo modo di leggere la realtà, di uscire dagli schemi e pregiudizi per lasciarci
interrogare e trovare nuove prospettive. Questo avviene sia a livello della comunità cristiana come della comunità civile.
Conversione morale: dobbiamo riprendere nella nostra prassi e nel nostro pensiero valori che attingono dal
vangelo e che talvolta sono dimenticati: accoglienza, perdono, ascolto, carità, giustizia, rispetto.
Conversione religiosa: come cristiani siamo chiamati ancora una volta a mettere Dio al primo posto, senza farci tentare da altri idoli. Il cristianesimo e la sequela di Gesù hanno bisogno di autenticità e non di formalità.

+p.Roberto Carboni, Arcivescovo