Omelia per la festa di San Francesco d’Assisi

04-10-2020

Ieri sera, nella sobria cornice della tomba di San Francesco in Assisi, Papa Francesco ha firmato la sua terza Enciclica dal titolo: “Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Non è un caso che il Papa abbia voluto fare il gesto di recarsi in Assisi, anche se privato e riservato, dato che anche questa sua Enciclica, come la “Laudato Sii” prende spunto da una frase del poverello umbro, e si trova in una Ammonizione, cioè quei piccoli testi spirituali che Francesco dettava per uso e meditazione dei frati. Si tratta della VI ammonizione che dice: “Guardiamo, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce”. (Ammonizioni, 6, 1: FF 155).

Così inizia l’Enciclica del Papa: Tra i consigli di Francesco d’Assisi voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita.

La parola “fratello: frater – fratres” è insieme a Dominus, Signore, quella che più è presente negli scritti di san Francesco: Dominus è presente 410 volte e frater-fratres 306 volte. Ponendosi di fronte a Dio padre di tutti, Francesco scopre ovunque dei fratelli e delle sorelle. Quando alcuni verranno per vivere con lui e come lui il vangelo, egli dirà: «Il Signore mi dette dei fratelli» (Testamento 14: FF 116). È la paternità universale di Dio a indicare i confini della fraternità, che dunque non ha confini; ed è il vangelo del Signore a dire come ci si comporta da fratelli di tutti. Per questo Francesco andrà oltre i confini istituzionali della fraternità per incontrare i ladri di Montecasale; uscirà dalle mura di Assisi per scendere giù nella piana a incontrare e mettersi al servizio dei fratelli lebbrosi; si spingerà oltre i confini della cristianità e della crociata per dialogare con il sultano.

Per dialogare con tutti, bisogna imparare la lingua di tutti. A proposito di quel ferocissimo lupo di Gubbio, il fioretto illustra splendidamente la capacità di Francesco di ascoltare seriamente le ragioni degli altri: il lupo è aggressivo perché ha fame, gli abitanti di Gubbio gli danno la caccia perché hanno paura.

Quali possono essere gli atteggiamenti che san Francesco ci suggerisce in relazione alla fraternità? In primo luogo mai abbandonare un fratello. Il nemico della fraternità non è tanto il potere, quanto il dominio, l’utilizzare il potere non per servire ma per dominare gli altri. Il potere ci vuole. Ma i superiori o capi, Francesco li chiamerà “ministri”, che vuol dire “servi” e gli altri frati non saranno chiamati “sudditi”, ma “gli altri frati”. Francesco attinge dall’esempio di Gesù e dalla terminologia evangelica. Francesco stesso si troverà a combattere contro la grande tentazione di separarsi dai fratelli che non vogliono seguire fedelmente la via della minorità. Ma alla fine della vita sceglie di restare in una fraternità che fa molta fatica a seguirlo con la radicalità da lui desiderata. All’eroismo personale, Francesco preferisce la fatica di restare nel gruppo; alle regole preferisce i fratelli, persino quando, come nel brano della vera letizia, gli diranno «noi ora siamo tanti e tali che non abbiamo più bisogno di te» (FF 278).

A quel ministro che gli chiede di ritirarsi in un eremo perché i suoi fratelli gli sono di ostacolo ad amare il Signore Dio, egli risponderà di considerare le difficoltà che incontra come una grazia e di non desiderare che gli altri siano diversi, ma di amarli proprio così come sono. E ciò che consigliava agli altri era ciò che faceva. Nella Regola non bollata scrive di tenere le porte del cuore e delle case sempre aperte a tutti: «E chiunque verrà da loro, amico o avversario, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà» (Rnb VII,14: FF 26).

Una delle caratteristiche tipiche e più umane di Francesco è il rispetto per l’altro e la valorizzazione di ognuno. Non aveva uno schema precostituito di come dovesse essere il perfetto frate minore: in ciascuno vedeva una dimensione unica e preziosa. Come frutto di questa osservazione attenta e amorosa seppe descrivere il vero francescano come sintesi di molti modi di vivere: la fede di Bernardo, la semplicità di Leone, la cortesia di Angelo, il buon senso di Masseo, la contemplazione di Egidio, l’orazione di Rufino, la forza di Giovanni, la pazienza di Ginepro… (cf. Specchio di perfezione 85: FF 1782). Questa perfezione non è patrimonio di uno, ma armonia di un gruppo di fratelli.

Ora questa visione della Fraternità, Papa Francesco la fa sua. Ricorderete il viaggio negli Emirati Arabi (febbraio 2019): collaborazione di tutte le comunità religiose sparse per il mondo al servizio della pace, della giustizia, dell’accoglienza, della fraternità universale. Il viaggio è la risposta-conseguenza al nostro sentirci tutti viandanti della vita, bisognosi d’incontrare l’altro e, in un certo qual modo, di sperimentarci come pellegrini dell’Assoluto. Ad Abu Dhabi ci si è resi conto, ancora una volta, che non si può uccidere nel nome di nessun Dio e che la religione non può essere veicolo di violenza: soltanto la sua manipolazione ideologica può giustificare la violenza o il terrorismo.

L’altro è un portatore di novità. Oggi, girano per il mondo più di sette miliardi di persone che non parlano la stessa lingua e che appartengono a culture, tradizioni religiose e a orientamenti socio-politici differenti e a volte anche contrastanti. La differenza tra tutti gli esseri umani è anzitutto bio-genetica, tracciata, cioè, nel Dna di ciascuno di noi. Siamo venuti al mondo già diversi, portatori di novità e di alterità allo stesso tempo. Questa diversità ci costituisce proprio come esseri umani ed è una grande risorsa. Proprio per queste ragioni abbiamo sempre più bisogno di formarci al dialogo, all’accoglienza, al confronto sereno, nel rispetto delle nostre e altrui identità e diversità. Nei volti dei più dei sette miliardi d’abitanti del pianeta Terra è segnata la cifra della Trascendenza, dell’Assoluto, come dono, e pure la responsabilità del prendersi cura di chi ci sta accanto come compito, impegno etico che dobbiamo assolvere per il bene nostro e del prossimo stesso. Il volto dell’Altro, amava ripetere. Imparare ad accogliere per creare nuovi legami di fraternità. In realtà, non sarà la tolleranza a salvare il mondo. Non sarà sufficiente neppure il riconoscimento della multiculturalità dei popoli e delle nazioni e delle comunità. Perché non ci sono più mondi isolati né arcipelaghi felici dove abitare: siamo gli uni accanto agli altri. Papa Francesco l’ha compreso molto bene e a noi tocca corrergli dietro con umiltà e fiducia, nel pieno riconoscimento della sua azione pastorale profetica e caritatevole. È necessario, perciò, seguire il principio dell’accoglienza e dell’incontro, dell’inculturazione e dell’integrazione La diversità di fede, di cultura, di stile di vita, nella dichiarazione congiunta è letta come risorsa, come dono della sapienza divina e, per questo, «si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano». A noi tocca raccogliere la sfida del Poverello e di papa Francesco: fare del dialogo e dell’amicizia fraterna, ispirata da Dio, il nostro stile di vita, il concreto modo di stare al mondo con l’Altro e mai senza l’Altro. Si tratta di essere non “uomini e donne d’onore” ma “uomini e donne d’amore” (papa Francesco). Ci sono ancora legami di fraternità da tessere nel mondo e da scoprire già nelle nostre piccole realtà. Papa Francesco lo ha ribadito in tantissime occasioni, invocando anche la reciprocità da parte di tutte le componenti in dialogo e da parte dei seguaci delle altre religioni.