Omelia per la giornata della vita consacrata

Cattedrale di Oristano, 2 febbraio 2018
02-02-2018

Cari fratelli e sorelle,

la festa liturgica che celebriamo è la memoria della Presentazione del Signore al Tempio, cioè un evento della vita di Gesù. Questo evento, secondo un criterio cronologico, ispirato al Vangelo, si è svolto quaranta giorni dopo la nascita del Signore e, con esso, “il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo che l’attendeva nella fede”. Abbiamo notizia di questa celebrazione a Gerusalemme dal racconto della pellegrina Egeria. Essa è stata recepita in Occidente nel secolo VII con il titolo greco di ‘Hypapante’, ossia l’incontro fra il Messia ed il suo popolo. Con la riforma liturgica, viene ricuperato il titolo di Presentazione del Signore al posto dell’altro titolo che, a partire dal secolo X, era entrato nei libri occidentali come “Purificazione” di Maria.

La Chiesa dedica questa celebrazione in modo particolare ai consacrati, per sottolineare la loro particolare vocazione e missione. In realtà, l’evento della vita di Gesù evoca, in qualche modo, la presentazione dell’uomo al Signore, nel senso che ogni uomo e ogni donna sono chiamati a vivere la consacrazione al Signore. Molte mamme raccontano di aver offerto o consacrato il loro figlio al Signore, al momento della nascita. Di fatto, non esiste una vita umana che non sia consacrata al Signore. Altrimenti, dovremmo dire che solo i religiosi e le religiose realizzano la vocazione dell’uomo. Il ruolo dei religiosi, però, è quello di dare una testimonianza credibile della vita consacrata. Ossia, con il loro stile di vita, essi devono testimoniare che è possibile vivere nella castità dei pensieri e delle azioni; che è possibile vivere dipendenti dalla Provvidenza di Dio, il quale, come si prende cura degli uccelli del cielo e dei gigli del campo, così, a maggior ragione, si prende cura di ogni persona creata a sua immagine; che è possibile vivere pienamente liberi pur nell’obbedienza alla volontà di Dio, espressa dalla regola delle proprie istituzioni. Possiamo dire che i Religiosi sono i testimoni della santità possibile. La loro missione è quella di dimostrare vera e reale l’affermazione dell’arcangelo Gabriele a Maria: “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37).

Ma c’è un altro aspetto nella celebrazione della Presentazione di Gesù al Tempio. In realtà, è Gesù che si presenta al suo popolo. E si presenta come Luce delle genti, per portare la salvezza attesa da tutti i popoli della terra. Dove c’è il Signore, infatti, c’è salvezza, ossia vita, gioia, speranza. La Scrittura ci parla della gioia che si prova quando si incontra il Signore. Anna, la madre di Samuele, anticipando l’inno del Magnificat, canta: “Esulta il mio cuore nel Signore; per grazia del Signore si innalza la mia fronte. Si apre liberamente la mia bocca contro i miei nemici; perché io godo della vittoria che mi hai concesso… L’arco dei forti si è spezzato, ma i deboli sono stati rivestiti di vigore. Quelli che erano sazi, per il pane andarono a giornata, mentre gli affamati hanno cessato di faticare… Il Signore giudica i confini della terra; darà forza al suo re; ed eleverà la potenza del suo Messia” (cfr. 1Sam 2, 1-10).

La Vergine Maria, a sua volta, eleva l’inno: “L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”. La madre di Giovanni il battista, Elisabetta, esclama: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Infine, il vecchio Simeone canta: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola; / perché i miei occhi han visto la tua salvezza / preparata da te davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2, 29-32).

Questi personaggi biblici sono protagonisti di ciò che Dio fa per gli uomini e non di ciò che gli uomini fanno per Dio. A suscitare il loro canto è l’avverarsi della speranza, che li ha sostenuti nelle vicende della loro vita. “Quando Maria mette in braccio a Simeone il Figlio della Promessa, ha scritto Papa Francesco, l’anziano incomincia a cantare, fa una propria “liturgia”, canta i suoi sogni. Quando mette Gesù in mezzo al suo popolo, questo trova la gioia. Sì, solo questo potrà restituirci la gioia e la speranza, solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Solo questo renderà feconda la nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore. Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo”.

La gioia dell’incontro con Gesù, nostro Salvatore, continua il Papa, “renderà fecondi noi consacrati, ma soprattutto ci preserverà da una tentazione che può rendere sterile la nostra vita consacrata: la tentazione della sopravvivenza. Un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in seno alle nostre comunità. L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose – ma passate – che, invece di suscitare la creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte. La psicologia della sopravvivenza toglie forza ai nostri carismi perché ci porta ad addomesticarli, a renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono; fa sì che vogliamo proteggere spazi, edifici o strutture più che rendere possibili nuovi processi. La tentazione della sopravvivenza ci fa dimenticare la grazia, ci rende professionisti del sacro ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare. In poche parole, la tentazione della sopravvivenza trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione. Questo atteggiamento non è proprio soltanto della vita consacrata, ma in modo particolare siamo invitati a guardarci dal cadere in essa”.

Cari fratelli e sorelle, quanto più approfondiamo la nostra conoscenza personale di Gesù, tanto più saremo testimoni credibili di vita, gioia, speranza. Facciamo nostro il programma pastorale di quest’anno: osare il vangelo, e preghiamo Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra, perché interceda presso il suo Figlio Gesù, e non faccia mai mancare nelle nostre comunità il vino della gioia e della comunione. Il suo magnificat sia il nostro magnificat. Amen.