Omelia per la Messa celebrata in Cattedrale nella XII Domenica del Tempo Ordinario

25-06-2017

Cari fratelli e sorelle,

nel dialogo di Gesù con i discepoli che abbiamo poc’anzi ascoltato compare per tre volte l’invito a non aver paura. Sono 3 delle 366 volte che questo invito compare nella Bibbia, e, cioè, una volta per ogni giorno dell’anno, compreso quello bisestile! Come mai questo invito viene ripetuto così tante volte? Forse perché, allora come oggi, la vita umana si svolge tutta sotto il dominio della paura. Paura del rischio, della guerra, del tradimento, del confronto, dell’enigma del dolore, e, infine, della tragedia della morte. Una lettura della lontana causa della paura ce la da S. Paolo nella lettera ai Romani, secondo cui, il primo peccato della storia umana ha posto l’uomo in una condizione di esistenza ferita, vulnerabile, dalla quale non può liberarsi senza l’intervento divino. La lettura dell’Apostolo Paolo è, in qualche modo, confermata dalle parole di Giobbe: “la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento e i suoi giorni sono come quelli di un mercenario” (Gb,7,1), nonché dalla invocazione quotidiana al Padre Nostro, perché ci liberi dalla tentazione e non ci abbandoni nella prova.

Ora, chi ci dice: “non temete gli uomini..”, “non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo” è colui che non ha temuto di porre a repentaglio la propria vita, di affrontare ogni sorta di difficoltà, colui che è stato oltraggiato, deriso, non compreso, che ha dovuto subire molte prove sino a quella più grande di salire su una croce e lì morire come il peggiore dei malfattori. Gesù non ci dice, perciò, che saranno eliminate quasi magicamente le paure e le angosce dalla nostra vita, ma ci dice come affrontarle, gestirle, vincerle, come ha fatto Lui.

E, in concreto, che cosa ci dice Gesù per vincere la paura? Anzitutto, ci ha promesso la sua compagnia: “Ecco, io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Con la sua compagnia prendono significato le cose che speriamo, quelle che soffriamo, quelle che gioiamo. Inoltre, ci assicura il perdono e la misericordia tutte le volte che cediamo alla tentazione e facciamo il male. Per questo fine ha raccontato le parabole della misericordia (cfr. Lc 15): la pecorella smarrita che il pastore mette sulle sue spalle; la dracma perduta che la donna ritrova e fa festa «con le amiche e vicine»; il figliol prodigo a cui il padre getta le braccia al collo, commosso per il suo ritorno. Queste parabole ci insegnano che, come avvenne nella vita del profeta Geremia, il Signore è sempre al fianco di chi è perseguitato dalla disgrazia, afflitto dalla malattia, incerto del futuro.

Gesù, dunque, ci assicura la sua compagnia e il perdono delle colpe. Ci chiede, però, di riconoscerlo davanti agli uomini con coraggio e determinazione. Riconosce Gesù davanti agli uomini chi vive la fedeltà del matrimonio; chi professa l’onestà  e vince la corruzione; chi affronta la fatica della fede; chi guarda il cielo rimanendo fedele alla terra, anche quando è molto difficile guardare il cielo con lo stomaco vuoto e in cassa integrazione.

 

Cari fratelli e sorelle,

 

un modo concreto con cui riconoscere Gesù davanti agli uomini e sentire Dio al nostro fianco ce lo suggerisce Padre Josef Kentenich, fondatore del Movimento di Schoenstatt, il quale ha scritto che il cristiano deve vivere “con l’orecchio nel cuore di Dio e la mano nel polso del tempo”. Ciò significa che il cristiano è capace di intravvedere la guida della mano di Dio nelle vicende della propria vita. Qualsiasi cosa accada, Dio è dalla nostra parte. Se, talvolta, non sappiamo leggere la sua scrittura,  è perché, come dice Anatole France, egli si firma con lo pseudonimo. Dio ci conosce nel nostro intimo, sa ciò che possiamo fare e ciò che non possiamo fare. Quindi, davanti a Lui non possiamo barare. La sapienza umana dice: aiutati che il ciel ti aiuta; la sapienza cristiana, per bocca di S. Agostino, precisa: Dio che ha creato te senza di te non può salvare te senza di te. In realtà, la nostra vita è un’opera d’arte composta a quattro mani: quelle invisibili di Dio e quelle visibili nostre. Le mani invisibili di Dio si uniscono alle mani visibili nostre e realizzano un progetto di vita, frutto di due amori, opera di due libertà. Se, ora, Dio è l’artista della nostra vita; se Gesù ci ha assicurato che noi contiamo più dei gigli del campo e gli uccelli del cielo, perché abbiamo paura? Con le parole di Santa Teresa d’Avila possiamo ripetere: “Chi ha Dio niente gli manca. Niente lo turba, niente lo spaventa: solo Dio basta”.

Amen.