Omelia per la Messa Crismale

06-04-2023

Carissimi presbiteri e diaconi, fratelli e sorelle…

Per la seconda volta ci ritroviamo come Presbiterio di Oristano e di Ales – Terralba in questa Cattedrale di Santa Maria Assunta per celebrare la Messa Crismale. Il momento è significativo e solenne, poiché rende visibile il desiderio delle due diocesi di camminare insieme al proprio vescovo, rispondendo così all’invito che papa Francesco ci ha fatto, ovvero di ripensare lo stile dell’essere Chiesa oggi, nella storia in cui siamo immersi. Siamo chiamati alla collaborazione e all’ascolto reciproco, lasciandoci coinvolgere nel sogno che papa Francesco ci ha consegnato a Firenze di una Chiesa agile, che rinuncia a strutture e stili che la appesantiscono, per aprirsi a un rinnovato annuncio del Vangelo che susciti, negli uomini del nostro tempo, il desiderio di conoscere Gesù. Il segno esterno e solenne di unità e di comunione che questa celebrazione Eucaristica manifesta, deve divenire anche segno interno, volontà di superare i limiti umani, le fatiche e le resistenze. Esso va reso ancor più vero ed efficace, arricchito di reali contenuti di relazioni, di ascolto, di condivisione, di pazienza.

Durante quest’anno i nostri due Presbitèri, insieme al popolo di Dio, hanno camminato insieme. C’è ancora molta strada da fare ma ci unisce la comune preoccupazione su come servire questa Chiesa, come rimettere al centro la persona di Gesù, come far conoscere e amare il Signore e farci conoscere e amare da Lui.

Tutti conosciamo le fatiche e le difficoltà del momento attuale. Le ricordo solo a grandi linee, dato che fanno parte di una riflessione già avviata da tempo: la diminuzione del numero dei presbiteri; l’avanzare dell’età; il mantenimento del numero delle comunità e delle parrocchie da servire; la fatica nel coinvolgimento dei laici; la necessità di ripensare l’iniziazione cristiana sganciata dalle scadenze e dagli obblighi sociali. A queste si aggiungono le poche vocazioni, mi riferisco a tutte le vocazioni che fanno la ricchezza del popolo di Dio: la vocazione al matrimonio cristiano, dove è urgente aiutare la famiglia a riprendere il ruolo primario di educatrice della fede per i loro figli. Sappiamo che questo è uno degli aspetti che destano maggior preoccupazione, dato che è evidente certa latitanza degli adulti, dei genitori, nell’aiutare i più giovani a prendere contatto con la fede cristiana.

Non dimentico, tra le fatiche del momento, la situazione delicata e non facile che vive la Vita Consacrata, anch’essa con la diminuzione consistente dei suoi membri, spinta dall’urgenza di ripensare la propria testimonianza e servizio nel contesto ecclesiale attuale. Infine, ma non perché sia di minore importanza, conosciamo la drammatica scarsità di vocazioni alla vita presbiterale. Non si tratta solo di numeri o di problemi di organizzazione pastorale ma anche di ripensare nuovi modi di stare con il popolo di Dio, di farsi prossimi alla vita della gente e questo include la necessità di ripensare i percorsi per la formazione dei seminaristi, in dialogo con il tempo presente e le sue sfide. Ho accennato prima alla fatica di noi adulti nell’entrare in dialogo con i giovani. Il tema è complesso e articolato, ma interroga noi credenti e presbiteri, dato che significa che il nostro modo di manifestare la fede in Gesù non è affascinante né attraente.

I giovani ci domandano: ma perché dovrei credere in Dio, in Gesù Cristo? Poiché ciò che vedo dai credenti non mi attrae e non mi interroga. Tutte queste difficoltà sono ben conosciute, perché sono state affrontate in tanti discorsi, sia formali che informali, e fanno parte della riflessione quotidiana di ciascuno. Come sappiamo, non esistono ricette facili per soluzioni rapide; esistono processi che vanno avviati. Come in tutti i processi di cambio, si avverte una certa resistenza, facciamo fatica a pensare diversamente, a lasciare modi e stili conosciuti o una routine consolante. È evidente che non possiamo però ormai chiuderci, come dice tante volte papa Francesco, nel si è sempre fatto così. Tutto questo, lo ripeto, lo conosciamo bene. Ma oggi desidero prima di tutto mettere in evidenza, in questa nostra celebrazione, parole di gratitudine e ringraziamento per ciascuno di voi. In questi quasi sette anni di episcopato ho imparato a conoscervi e a volervi bene. Ho ben presenti le vostre fatiche, il vostro impegno, lo sforzo per dare il meglio, e talvolta il doversi confrontare con le aspettative deluse a causa delle comunità che non rispondono agli sforzi e alle energie spese. Non mi sono sconosciute le difficoltà che vivete, le fatiche personali e ministeriali, i problemi di salute, i momenti di sconforto.

Per questo è importante ringraziarvi e incoraggiavi! Una volta mi è stata fatta questa domanda: Di che cosa soffre un prete oggi e cosa si dovrebbe fare per aiutarlo? Ognuno potrà dare la sua risposta personale. Sappiamo che la solitudine può segnare profondamente un presbitero. Come tutti, egli ha bisogno di amicizia e affetto. Oggi, a differenza del passato, le famiglie di origine non seguono il prete nel suo ministero, e ci si trova da soli a dover servire ed essere disponibili per varie comunità. Questo interroga seriamente me come vescovo, ma anche tutti noi come Presbiterio, per trovare nuove strade di condivisione del ministero pastorale, rendere vera la fraternità, l’accoglienza e l’amicizia, perché tutto ciò sia una roccia solida su cui costruire per non essere schiacciati dal peso del ministero. Altri si aspettano forse un diverso trattamento dal vescovo. Accolgo questa sottolineatura con molto disponibilità e come un invito a migliorare, ma permettetemi, a questo proposito, una citazione del Servo di Dio, mons. Tonino Bello: Certe volte sento dire dai miei sacerdoti: Vescovo, tu ti dimentichi di noi. Mi vien voglia di dire: Però voi pure ricordatevi qualche volta di me. Altri si confrontano con le aspettative create dall’ordinazione presbiterale. Forse ci si immaginava magicamente un cambio totale di vita ma poi ci si accorge, nonostante l’amore autentico per il Signore e il desiderio di servirlo, di essere ancora sé stessi, di non aver cancellato i limiti personali e neanche quelli relazionali. Si fa fatica a condividere con altri, che hanno sensibilità diverse, sia nello stile pastorale sia nel coltivare la propria vocazione. Diciamolo chiaramente: fatichiamo ad accogliere la diversità e integrarla in un percorso articolato. Ecco, desidero ringraziarvi perché ancora mantenete il vostro impegno nonostante queste fatiche di cui vi ho parlato e verso cui sarà importante trovare risposte.

Al tempo stesso desidero incoraggiarvi ed esortarvi a non perdervi d’animo. Vi incoraggio ed esorto a riportare al centro della vostra vita l’essenziale della vocazione presbiterale da dove emergano queste domande: perché si è presbiteri e per chi si è presbiteri? Le risposte le conosciamo: è necessaria una relazione con il Signore. È Lui che manda, è lui che invia, è lui che ci affida una comunità attraverso le mediazioni della Chiesa.  Senza una lettura di fede le fatiche diventano montagne; le delusioni del non vedere realizzati i propri sogni divengono depressioni profonde; le amarezze si fanno paralisi esistenziali. Dunque, se vogliamo far ripartire anche il dinamismo delle nostre Chiese diocesane, dobbiamo chiedere al Signore di aiutarci a restituire alla nostra vocazione la sua attrattiva, il suo impulso, la sua bellezza e il suo fascino e tutto ciò ha solo un punto di convergenza: la relazione con Gesù.

Dobbiamo spendere tempo per riscaldare di nuovo il cuore, per dire che è Lui che vogliamo servire attraverso i nostri fratelli. In questo tempo in cui la gente è tentata di vivere con superficialità la fede, ritorniamo noi per primi all’essenziale e portiamoci le nostre comunità. Non è necessario moltiplicare cose da fare o attività liturgiche, o manifestazioni o programmai elaborati. Il vero nucleo di tutto è la nostra capacità di insegnare alla gente ad amare il Signore, a conoscerLo da vicino. Come sappiamo, questo è uno degli aspetti che maggiormente mancano nell’iniziazione dei ragazzi. Insieme al Grazie per il vostro servizio ministeriale unisco l’invito a riprendere la passione per Gesù e la passione per l’umanità. Non voglio dimenticare in questa nostra riflessione, i laici, uomini e donne, che sono qui presenti; vorrei coinvolgervi in questa invito alla preghiera per i vostri pastori, capire le loro fatiche, le difficoltà. Ve li consegno, carissimi laici, perché voi preghiate per loro, li sosteniate con la vostra amicizia e collaborazione, siate membra attive e creative della comunità alla quale, nel Battesimo, tutti facciamo parte.

In conclusione, vorrei lasciarvi tre parole: prima di tutto la gratitudine per quello che siete e state facendo; poi l’invito a ritornare alla sorgente, alla relazione con la persona di Gesù, ad avere con lui un rapporto di confidenza, di preghiera, di ascolto. Infine, l’esortazione a stimolare le comunità a camminare verso l’essenziale, specialmente a crescere nella relazione personale con il Signore, iniziando dai bambini, dai ragazzi, dai nostri giovani.

Nel chiudere la mia riflessione, come è consuetudine, rivolgo un saluto e il ricordo ai fratelli che pur non essendo qui fanno parte della nostra storia e comunità: un affettuoso saluto al caro confratello e arcivescovo emerito di Sassari mons. Paolo Atzei con l’augurio di una pronta ripresa della salute. Ricordiamo con affetto gli Arcivescovi che fanno parte della nostra Chiesa Arborense e a cui ci sentiamo spiritualmente legati. Gli Arcivescovi emeriti di Oristano: S. E. mons. Ignazio Sanna e S. E. mons. Pier Giuliano Tiddia; il Vescovo emerito di Ales-Terralba, S. E. mons. Giovanni Dettori; i vescovi nativi delle nostre diocesi: S. E. mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alghero-Bosa (nativo di Arborea); S. E. mons. Mario Fiandri, Vescovo Vicario Apostolico in Guatemala (nativo di Arborea); S. E. mons. Corrado Melis, Vescovo di Ozieri (nativo di Sardara); S. E. mons. Giovanni Paolo Zedda, Vescovo emerito di Iglesias (nativo di Ingurtosu).

Il nostro sacerdote in missione (Fidei Donum) don Luciano Ibba, in Sicuani (Perù).

Celebriamo, quest’anno 2023, i Giubilei e gli anniversari di ordinazione sacerdotale di mons. Modesto Floris (decano di Ales-Terralba: il prossimo 15 settembre compirà 100 anni, con 75 anni di sacerdozio); mons. Nicola Cabiddu (decano di Oristano: il 24 marzo scorso ha compiuto 96 anni con 73 anni di sacerdozio); il 70° di don Giuseppe Spada (Ales-Terralba); il 60° del can. Giovanni Battista Madau, di don Vincenzo Salis e del can. Giuseppe Trudu (Ales-Terralba); il 50° di don Mario Ecca e di p. Salvatore Saiu (Ales-Terralba); il 10° di don Omar Orrù, di don Matteo Ortu e di don Maurizio Spanu (Oristano).

Un ricordo affettuoso per i tanti sacerdoti anziani e malati. Un ricordo speciale per i sacerdoti deceduti lo scorso anno: mons. Ignazio Cabiddu, mons. Giulio Marongiu, don Ilario Nonnis, don Antonio Muscas, don Pasquale Murru e don Francesco Marongiu, quest’ultimo deceduto recentemente.

Ricordiamo e preghiamo per i nostri seminaristi del Seminario Regionale; rafforziamo la nostra unanime preghiera affinché il Signore ci dia la gioia di veder crescere nel cuore dei giovani il desiderio della vocazione presbiterale.

Anche se sono rappresentati da un piccolo gruppo, saluto i ragazzi e le ragazze che mediante l’unzione col nuovo Crisma, riceveranno la Cresima durante quest’anno.

Saluto le monache di clausura dei tre monasteri cittadini, i religiosi e le religiose, i laici che operano nei Consigli economici e pastorali diocesani e parrocchiali, nelle Associazioni di volontariato, nella Caritas diocesana Arborense e Alerese. Ma anche in quelle parrocchiali, e nei vari organismi diocesani e parrocchiali.

Infine saluto con affetto paterno e grato tutto il Popolo di Dio delle nostre amate Chiese Arborense e Alerese.

Benedico tutti e vi chiedo di pregare per me!

A tutti, l’augurio che la Santa Pasqua del Signore, sempre fonte di Gioia, di speranza, inondi la nostra vita.