Omelia per la Messa in Coena Domini 2019

18-04-2019

Cari fratelli e sorelle,

Il cuore del messaggio spirituale della liturgia che stiamo celebrando lo troviamo nelle parole di Gesù: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io così facciate anche voi”. Questo comandamento evangelico dà vigore profetico all’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio, e destina l’una e l’altro a diventare testimonianze vive di servizio e di carità. Infatti, il riscontro più vero della celebrazione dell’Eucaristia e del ministero sacerdotale è la pratica della carità e il servizio verso i fratelli, poveri di pane e di futuro. Gesù non ha detto: “andate ad insegnare la mia dottrina”, “fate i miei miracoli”, ma “amate come ho amato io, servite come ho servito io”. Gesù, dunque,  ci invita ad amare, a perdonare, a servire. Questo è il suo testamento. Fino a quando i suoi discepoli sono rimasti fedeli a questo testamento hanno parlato al cuore della gente e diffuso la novità e la bellezza del Vangelo. Quando invece l’hanno tradito e dimenticato, perché hanno inseguito mire di potere politico e economico, hanno deturpato il volto della Chiesa.

Nel racconto dell’ultima cena riportatoci dall’apostolo Paolo, Gesù comanda che si si faccia memoria del suo gesto con lo spezzare il pane, che diventa suo corpo, e con il bere il vino, che diventa suo sangue; mentre secondo S. Giovanni, Egli comanda che si faccia memoria del suo gesto di lavanda dei piedi ai discepoli con altrettanti gesti di umiltà e di servizio. In altri termini, la memoria del mistero di passione, morte e risurrezione di Gesù si deve concretizzare in forme di generoso servizio. Ciò equivale a dire che non c’è vera Eucaristia e non c’è autentico ministero sacerdotale senza la pratica della carità e del servizio. La messa in coena Domini che stiamo celebrando ricorda questa verità sia ai sacerdoti che al popolo di Dio. Ricorda, in modo particolare, che il massimo comandamento di Gesù è l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Nella storia del cristianesimo questo comandamento è stato testimoniato dal carisma di molte congregazioni religiose che hanno formato migliaia di uomini e donne al servizio dei poveri e dei bisognosi. Da più parti e da più voci si invoca una Chiesa che sia sempre più madre e maestra di carità e di misericordia. Questo auspicio lo aveva espresso a suo tempo Don Tonino Bello, quando ha scritto che l’unico paramento sacro di cui parla il vangelo è il grembiule indossato da Gesù per lavare i piedi ai discepoli. In verità, quel grembiule per servire i poveri è stato indossato e continua a essere indossato da tanti religiosi e sacerdoti, divenuti testimoni e operatori della carità. Essi evangelizzano il mondo non con il potere politico o economico ma con l’amore o, se si vuole, con il potere dell’amore; vivono e operano come accompagnatori e guide spirituali dei fedeli, in una Chiesa che serve, che ama, che crea speranza. 

Sotto questa luce, la stessa Eucaristia può essere considerata come la compagnia di Gesù nella vita degli uomini. Gesù ha parlato a più riprese e in diverse occasioni della realtà di questa compagnia: “Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt28, 20); “Dove sono due riuniti nel mio nome, io sono presente” (Mt 18, 20). Sia Gesù, poi, che, in seguito, l’Apostolo Paolo, hanno dato anche una precisa modalità e finalità a questa compagnia. Gesù, nell’ultima cena, disse: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me” (Lc22, 19). S. Paolo, alla comunità di Corinto, raccomandò: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1Cor 11, 26). Il riunirsi dei cristiani in compagnia di Gesù, quindi, non è un semplice trovarsi insieme per affinità elettiva o per condivisione di interessi, ma per adempiere una missione molto importante: rendere presente l’evento pasquale della morte e risurrezione di Gesù. Con il riattualizzarsi di questo evento, l’opera salvifica di Gesù non si riduce ad un ricordo storico della sua efficacia entro i confini della Palestina, ma si prolunga nel tempo e nello spazio. Proprio per continuare nel tempo e nello spazio la sua opera di salvezza, secondo il Concilio, Egli “è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche” (SC,7). Inoltre, “per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima” (SC, 7).

Fratelli e sorelle, rinnoviamo la nostra partecipazione alla celebrazione dell’Eucaristia per viverla nei diversi momenti della giornata e nei diversi luoghi del nostro lavoro e delle nostre attività. Impariamo a dire grazie per la vita, la salute, l’amore, l’amicizia, per tutti i doni che riceviamo dalla bontà di Dio. Diciamo grazie a Dio per la sua pazienza nei nostri confronti e per il perdono che continuamente ci rinnova. Non lasciamoci prendere dalla tentazione dell’individualismo e dell’egoismo. Se siamo misericordiosi, se sappiamo dire grazie, se sappiamo celebrare e pregare la vita, saremo veri discepoli di Gesù e testimoni credibili del suo amore. Amen.