Omelia per la Solennità di Sant’Archelao, Patrono dell’Arcidiocesi

13-02-2019

Nel pronunciare l’omelia Mons. Arcivescovo ha rivolto anche un pensiero ai pastori sardi rinnovando la solidarietà della Chiesa diocesana ed auspicando che attraverso il dialogo civile si arrivi quanto prima a una giusta soluzione.

 

Cari fratelli e sorelle,

l’annuale ricorrenza della festa liturgica del santo patrono è una felice occasione per ritrovarci in questa chiesa cattedrale e vivere un momento di condivisione dei nostri ideali di fede e umanità. La festa del patrono risveglia sempre la propria appartenenza ecclesiale e la propria identità civile. Le feste patronali, infatti, sono fortemente identitarie e svolgono il ruolo di custodi delle tradizioni, degli usi, dei costumi di una città e di un paese. Si pensi al significato civile e cristiano di S. Ambrogio per Milano, S. Marco per Venezia, S. Petronio per  Bologna, S. Gennaro per Napoli, Santa Rosalia per Palermo, per fare solo alcuni esempi molto noti. La celebrazione dell’Eucaristia nella chiesa madre della Diocesi, la cattedrale, poi, contribuisce ad animare questa identità con il messaggio della Parola di Dio e l’esempio della vita dei santi. Affidare la propria comunità ad un santo, vuol dire chiederne la protezione nelle circostanze della vita e seguirne l’esempio nell’esercizio della propria professione. I vescovi italiani ci ricordano che “i santi rivelano con la loro vita l’azione potente dello Spirito che li ha rivestiti dei suoi doni e li ha resi forti nella fede e nell’amore. Ogni cristiano è chiamato a seguirne l’esempio, cogliendo il frutto dello Spirito, che è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).

Oggi noi facciamo memoria del martire S. Archelao, ossia di un testimone di fede cristiana e di coraggio evangelico. La nostra terra è stata benedetta e fecondata dal sangue dei martiri. Ce lo ha ricordato Benedetto XVI nel suo discorso a Cagliari e ce lo ricorda di continuo la liturgia. La meditazione sulla fede e sul coraggio dei martiri, perciò, non è un’esercitazione di storiografia ma un richiamo alla verifica della nostra fede in Gesù Cristo. E’ anche un richiamo al dovere della memoria e della gratitudine. Noi dobbiamo, infatti, la nostra fede  e le nostre tradizioni di religiosità popolare al sacrifico dei martiri. In modo particolare, abbiamo il dovere della memoria e della gratitudine verso il primo dei martiri, Gesù Cristo, morto in croce per la nostra salvezza. La grandezza del sacrificio di Gesù Cristo rende più meschina la manifestazione di ingratitudine e di infedeltà nel voler rimuovere il crocifisso dalle aule degli edifici pubblici, per non turbare, si dice, la coscienza dei non credenti. Il più grande segno di amore universale viene degradato ad un oggetto sacro che turba le persone! La stessa ingratitudine e infedeltà, purtroppo, la si dimostra nei confronti dei tanti martiri dei nostri giorni. Chi si ricorda dei cristiani perseguitati in diverse parti del mondo? Chi condivide la sofferenza dei tanti malati di sla che offrono il martirio della loro immobilità al Dio della vita e della speranza? Chi ringrazia le tante suore e i tanti sacerdoti che sacrificano la loro vita per assistere coloro che sono senza tetto, senza dignità, senza lavoro, senza futuro? Il martirio, cruento ed incruento, è diffuso più di quanto la cronaca dei quotidiani non lo faccia sapere. Il ricordo del martire Archelao, allora, patrono della nostra Arcidiocesi, non è un rito celebrativo, una formalità liturgica, ma un richiamo ad un severo e leale esame del nostro dovere di memoria e di gratitudine.

Il messaggio della Parola di Dio, con l’invito dell’Apostolo Pietro a soffrire operando il bene piuttosto che facendo il male, e quello di Gesù a seguirlo prendendo ogni giorno la propria croce interpella noi cristiani a riflettere sulla scelta tra la fedeltà alla Parola di Dio e quella alle promesse dell’immaginario collettivo. Gli uomini e le donne della società contemporanea, infatti, vorrebbero evitare scelte chiare e definitive, e subiscono, perciò, sempre di più l’eclissi delle differenze. Non si distingue più tra bene e male, tra giorno e notte, tra uomo e donna, tra famiglia e convivenza. Il Vangelo ci invita a prendere posizione, a scegliere il bene e a difendere questa scelta con la testimonianza personale. Una tale scelta, oggi come oggi, diventa sempre più necessaria, per il fatto che nel testimoniare la nostra identità di cristiani non si è aiutati dalla cultura dominante, dai sistemi dell’economica, dalle leggi del successo e del profitto. Nella vita politica, la furbizia prevale spesso sulla competenza, l’appartenenza partitica sulla preparazione professionale. La complessità della vita richiede sempre maggiore discernimento di mente e di cuore. Ma ciò non toglie che si debba avere il coraggio di dire di sì al bene e no al male, sì all’onestà e no all’inganno.

Molte sono le sfide che ci chiamano a fare scelte coraggiose e dare prova di fedeltà e di coerenza. Una sfida molto importante è la ricerca di significati per dare un senso all’amore, alla sofferenza, alla vita, alla morte, alla libertà, alla giustizia. L’esperienza ci insegna che il conseguimento del solo benessere materiale non appaga il bisogno di spiritualità. Perciò, bisogna dare un senso spirituale e morale, nonché un valore aggiunto di etica e di idealità ad ogni azione che si compie. Bisogna colmare il vuoto di esemplarità cristiana ed umana nel mondo della politica, dell’economia, della cultura; disporre di autorevolezza di pensiero, perché sono troppe le bocche che parlano e poche le teste che pensano; infondere fiducia e creare futuro a coloro che hanno paura del rischio. Oggi è diffusa la tendenza ad eliminare il rischio anche nei comportamenti personali. Non ci si sposa per eliminare il rischio che il matrimonio vada male o che i figli deludano. Non si intraprende una scelta economica perché non è sicura. Questa tendenza indebolisce le persone e la società. Il rischio fa parte della vita. Perché il futuro è aperto, non possiamo pensare che ce lo diano già costruito.

Una sfida strettamente legata alla testimonianza dei martiri è la professione della fede nella risurrezione della carne e nella vita eterna. La testimonianza di coraggio umano e divino dei ragazzi maccabei, unita al ricordo del martirio di S. Archelao, ci invita a rinnovare quella fede che determina il senso della vita terrena e richiede scelte coerenti e coraggiose, perché S. Paolo ci ammonisce che “se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”. La fede nella risurrezione ci ricorda che noi non abbiamo una dimora fissa su questa terra (Eb13, 14), ma che siamo pellegrini verso una città futura, una città eterna; che “la nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil3, 20-21).

Cari fratelli e sorelle, la nostra città si prepara alla Sartiglia, un evento festoso fortemente identitario. Conserviamone la tradizione di gioia dello stare insieme con un supplemento d’impegno comune per il rispetto delle regole e delle persone. S. Archelao, nostro patrono, interceda presso il collega di cielo S. Francesco, perché ci renda tutti uno strumento della sua pace. Amen.