Omelia per l’Ammissione tra i Candidati agli Ordini Sacri di Daniele Quartu

ABBASANTA, CHIESA PARROCCHIALE, 26 MARZO 2017
26-03-2017

Cari fratelli e sorelle, due sono i temi della liturgia della Parola di questa domenica di Quaresima nella quale procediamo all’ammissione tra i candidati agli ordini sacri del giovane seminarista di questa comunità parrocchiale Daniele Quartu: la vocazione e la luce. Sono due temi che si integrano e condizionano a vicenda, perché la luce della grazia e della fede è necessaria per capire quando e come Dio chiama le persone.

Ora, nella vocazione di Davide si evidenzia lo stile di Dio quando chiama i suoi collaboratori. E’ uno stile indipendente dai criteri della gente e dalle tradizioni popolari. Nel suo operare Dio esegue i suoi progetti e non i nostri desideri, anche perché conosce perfettamente qual’ è il vero bene delle persone. Noi lo cantiamo con le parole di Pierangelo Sequeri:”Io lo so, Signore, che vengo da lontano: prima nel pensiero e poi nella tua mano…” , e lo professiamo come le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Roma: “Dio Padre, da sempre, ci ha conosciuto e ci ha chiamati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29). Dio conosce la vera situazione del popolo d’Israele e sa chi deve incaricare per guidarlo e liberarlo dal male e dall’oppressione. Non conta se Mosè ha la lingua impacciata, se Isaia è un uomo dalle labbra impure (Is 6, 5), se Geremia non sa parlare, perché è giovane (Ger 1, 2). Dio non guarda gli aspetti che guardano gli uomini, non si lascia condizionare da criteri puramente umani. Il suo sguardo e la sua voce creano, purificano, abilitano al compimento della missione. Il Vangelo ci riporta molti sguardi di Gesù e molte sue chiamate che hanno cambiato la vita di tante persone. San Marco descrive ben 27 sfumature dello sguardo di Gesù; vedere, fissare lo sguardo, guardare attorno, osservare.

“Lo sguardo di Gesù, ha detto Papa Francesco, non è qualcosa di “magico: Gesù non era uno specialista in ipnosi”. “Gesù guardava ognuno, e ognuno si sentiva guardato da Lui. Era come se Gesù pronunciasse il nome delle persone che incontrava e il suo sguardo cambiava la vita”. Così ha cambiato Pietro, che dopo averlo rinnegato incontra il suo sguardo e piange amaramente. C’è anche l’ultimo sguardo di Gesù sulla Croce, quando vide la mamma e il discepolo e, con quello sguardo, ha donato una madre alla Chiesa e al discepolo. “Tutti noi, nella vita, ha concluso il Papa, abbiamo sentito questo sguardo. Forse la persona di un sacerdote che ci insegnava la dottrina o ci perdonava i peccati; forse una persona amica”. Possiamo dire che Daniele e i suoi compagni seminaristi hanno ricevuto lo sguardo di Gesù ed hanno risposto donando la propria vita a servizio della Chiesa  e del prossimo.

In effetti, la vita del discepolo che incontra Gesù si svolge in un intreccio di chiamata e risposta, di sguardi divini e risposte umane, nella realizzazione di un progetto che si svolge nella storia ma che sarà rivelato solo nell’eternità. Questo progetto è un mosaico che si costruisce a quattro mani. Quelle visibili degli uomini e quelle invisibili di Dio. Il progettista e l’artista è Dio. Lui è il maestro interiore che realizza con l’aiuto della nostra intelligenza e della nostra libertà il capolavoro della nostra vita. Ogni vita umana, infatti, è un capolavoro di Dio.

Accanto alla chiamata abbiamo il tema della luce e della vista. Gesù ridà la vista a un cieco nato e, con questo gesto, lo reintroduce nel mondo. Gli occhi, infatti, sono la finestra del corpo dalla quale ci affacciamo al mondo delle relazioni, degli affetti, delle conoscenze. Il proverbio popolare dice: “Occhio non vede, cuore non sente”. Noi cristiani dobbiamo adoperarci perché l’occhio veda e il cuore senta. Il cristiano è chiamato a vedere con gli occhi di Dio e ad amare con i sentimenti di Cristo. Gli occhi di Dio ci permettono di vedere le cose e le persone sub specie aeternitatis, alla luce dell’eternità. Papa Francesco, nella Lumen fidei, ci dice che “la fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere” (LF, 18). In realtà, “guardare è una cosa, vedere un’altra. Guardare con gli occhi del corpo è una cosa. Vedere con gli occhi dell’anima è un’altra cosa. Se fossimo semplicemente guardati, e non visti, saremmo in una situazione disumana. Abbiamo bisogno che qualcuno ci veda, che fissi lo sguardo su di noi, perché ciò significa che qualcuno si accorge di noi, che possiamo ricevere uno sguardo da qualcuno. Essere visti è il primo modo di sentire la fiducia degli altri in noi. Quando il neonato aggancia lo sguardo della mamma inizia un rapporto di accettazione e di accoglienza dell’altro. In ogni relazione che fa parte della nostra vita, noi non dimentichiamo mai quando “abbiamo visto”, quando “siamo stati visti”. È significativo che nel Bhagavadgita, poema sacro dell’induismo, stia scritto: “la salvezza sta nello sguardo”. Per noi cristiani la salvezza sta nell’essere visti da Dio..

“Vedere ogni cosa con gli occhi di Dio è la grazia della sapienza, uno dei sette doni dello Spirito Santo, ha detto Papa Francesco. E’ vedere il mondo, vedere le situazioni, le congiunture, i problemi, tutto, con gli occhi di Dio. Questa è la sapienza. Alcune volte noi vediamo la cosa secondo il nostro piacere o secondo la situazione del nostro cuore, con amore o con odio, con invidia. Questo non è l’occhio di Dio. La sapienza è quello che fa lo Spirito Santo in noi perché noi vediamo tutte le cose con gli occhi di Dio”. “Se noi ascoltiamo lo Spirito Santo, Lui ci insegna questa via della saggezza, ci regala la saggezza che è vedere con gli occhi di Dio, sentire con le orecchie di Dio, amare con il cuore di Dio, giudicare le cose con il giudizio di Dio”.

Cari fratelli e sorelle,

tutti noi abbiamo sentito almeno una volta la frase del piccolo principe “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Essa contiene una grande verità: noi vediamo la trama della nostra esistenza non con l’occhio del corpo ma con l’occhio dell’anima. In superficie, vediamo una semplice successione di stagioni della vita. In realtà, è lo svolgimento di un progetto divino. La grandezza e la nobiltà del cristiano non sta tanto nell’accettare questa trama quando la si vede, e, magari risponde alle nostre aspettative, ma di accettarla quando non la si vede e non corrisponde alle nostre attese. E’ sempre una trama di grazia e benedizione. Auguro a Daniele e a tutti noi di sentirci sempre guidati da Dio e di rispondere alla sua chiamata con generosità e passione. Amen.