Omelia per l’apertura del Sinodo diocesano

17-10-2021

Carissimi presbiteri delle diocesi di Oristano e Ales-Terralba, fratelli e sorelle…

La celebrazione solenne in questa chiesa di S. Pietro, tempio che conserva i resti e le fondamenta dell’antica cattedrale della diocesi di Terralba, vuole essere un ideale luogo di incontro per le diocesi di Oristano e Ales-Terralba, che danno inizio, insieme a tutta la Chiesa italiana, al cammino Sinodale che vedrà impegnate le comunità cristiane per i prossimi anni. Prima di riflettere sul cammino sinodale è necessario fermarci sulla Parola di Dio che ci viene offerta in questa XXIX domenica del tempo ordinario. È infatti la Parola di Dio e lo Spirito del Signore che devono guidarci, altrimenti rischiamo ancora una volta di affidarci all’organizzazione, pure necessaria, per fare un cammino che invece deve mettere al centro la fiducia nel Signore, la proclamazione della Sua Parola, la risposta alla sua chiamata. Il vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 10, 35-45), ci riporta con la memoria a ciò che viene narrato al capitolo VIII. In quel testo fondamentale, dove primeggia la confessione di Pietro, vi è, subito dopo, l’episodio dove lo stesso Pietro non si mostra particolarmente saggio quando sgrida il Maestro che parla della passione. Ora, una scena analogo si ripresenta con Giacomo e Giovanni. Sembra che proprio questi discepoli, destinatari dei momenti più intimi e solenni con Gesù, (la resurrezione della figlia di Jairo e alla Trasfigurazione) rivelino la loro inconsistenza e fragilità. Trovo qui già un invito realistico a considerare la nostra relazione con il Signore. Anche noi forse pensiamo di essergli molto vicini; di conoscerLo, di fare tante cose per Lui, ma alla fine forse anche noi siamo trasportati da desideri e progetti più umani che ci rendono sordi al progetto del Signore. I figli di Zebedeo fanno come ha fatto Pietro dopo la prima predizione, cioè dire a Gesù cosa deve fare. Dietro a questa richiesta, che forse ci fa sorridere, in realtà ci sono in filigrana tante nostre richieste; la tentazione di strumentalizzare il Signore perché realizzi ciò che vogliamo noi, perché realizzi anche nel ministero, i nostri progetti. La parola dei discepoli: vogliamo che tu esaudisca una nostra richiesta, mette subito in chiaro che questi discepoli non chiedono di capire il messaggio del Maestro, sulla logica del servizio e la sequela, ma vogliono occupare una posizione di prestigio. Sembra quasi che essi vogliano imporre la loro volontà: vogliamo… San Matteo, che riprende questa pagina, forse si vergogna un po’ e fa andare avanti non i discepoli ma la loro madre per chiedere qualcosa… In definitiva, cosa vogliono questi due discepoli? Chiedono di essere associati all’autorità del Maestro nel momento in cui stabilirà il suo regno nella gloria.  Pensano alla gloria futura con categorie umane, e dimostrano anche di non aver compreso l’insegnamento di Gesù. Essi chiedono quello che tutti chiediamo: la gloria, uno a destra e l’altro a sinistra; cioè vogliamo essere superiori agli altri, vogliamo essere di più, sempre.

E Gesù, rispetto a quello che gli hanno appena detto, non li blocca, ma chiede: Cosa volete che io faccia per voi? Gesù non blocca il desiderio, in un certo senso vuole educare questo desiderio, tirare fuori, ordinare: però vuole che lo possano esprimere, lascia questa possibilità. I due fratelli esplicitano quello che si portano dentro, appunto il sogno dei primi posti, il contare di più. La questione è: di quale gloria qui stanno parlando? Quale Gesù stanno conoscendo? È come se le risposte alle varie predizioni della passione, morte e risurrezione di Gesù mostrassero la fatica non tanto a comprendere le parole di Gesù, quanto a seguire la via. Questo testo ci sfida a considerare bene che cosa noi vogliamo seguendo Gesù: Quali sono i nostri progetti e sogni nascosti? Davvero riusciamo ad accogliere la Sua proposta che certo è una proposta di felicità, di gioia ma, al tempo stesso, anche una proposta esigente e talvolta dura? La gloria di Gesù è quella di servire, dare la vita. Solo in una prospettiva di servizio possiamo portare frutto. Inoltre, il testo del vangelo ci rimanda al modo di esercitare l’autorità nella comunità cristiana: non come un dominio ma piuttosto come un servizio. Ecco allora, permettetemi di collegare questa riflessione al cammino sinodale che vogliamo oggi iniziare. Si tratta di fare la richiesta giusta al Signore che chiede a noi: Cosa volete che faccia? Iniziando questo cammino, necessario, che dovrebbe divenire uno stile di fare Chiesa piuttosto che uno dei tanti eventi che inizia e si conclude, dobbiamo avere chiari i nostri obiettivi, che devono essere in linea con la proposta di Gesù. Come sappiamo, le parole chiave del camino sinodale sono: ascolto, ricerca e proposta. Si parla non solo di fare incontri formali, sintesi, gruppi, discussioni e documenti, ma far crescere luoghi di incontro e condivisione. Ecco allora che cosa è lo stile sinodale e ciò che dobbiamo chiedere al Signore: ascoltarsi e dialogare realmente, perché alla luce dello Spirito, nel contesto della preghiera, possiamo insieme vivere il presente e camminare verso il futuro.

Cari presbiteri, so che le fatiche pastorali che dovete affrontare sono molte. Di fronte a questi impegni è più che necessario assumere con maggior convinzione lo stile del lavoro pastorale fatto insieme. Vi invito a pensare un calendario di incontri con i Consigli pastorali, a coinvolgere in dialoghi e incontri la comunità e i gruppi dei vari collaboratori, partendo dalla una riflessione sulla realtà attuale della comunità parrocchiale. Anche le Religiose e i Religiosi della diocesi, devono sentirsi interpellati a una maggiore collaborazione alla vita delle comunità parrocchiali, proponendo il loro carisma ma anche armonizzandolo con l’inserimento fruttuoso nel cammino delle comunità e nel progetto pastorale della diocesi. Il ruolo dei laici è stato tante volte sottolineato: corresponsabilità e collaborazione. Esso però deve essere stimolato, formato, favorito e ricercato sia da parte degli stessi laici che dei presbiteri. Credo che il frutto più maturo del cammino sinodale sarà acquisire uno stile di ascolto, collaborazione, progettazione, preghiera insieme: presbiteri, laici, religiose e religiosi, perché l’annuncio del vangelo, la parola di Gesù trovi in noi dei discepoli che la rendono con la loro vita attraente, fonte di gioia. Si tratta allora di concentrarci sull’essenziale, su quello che veramente è nutrimento per la vita della fede, per la crescita della comunità. Nella mia Lettera alla Comunità Signore da chi andremo? suggerisco passi concreti da attuare nella comunità, in dialogo tra il parroco e i fedeli. Ne sottolineo solo uno: è quello del Curare la vita interiore della comunità, favorendo la preghiera e la relazione personale con il Signore. Non si tratta di fare molte cose (molte feste, processioni, ricorrenze) ma di far bene, come autentico nutrimento spirituale, alcune cose perché poi esse siano la base su cui porre la vita quotidiana, le azioni di tutti giorni illuminate dal Vangelo. Papa Francesco, nell’aprire il Sinodo della Chiesa, ha puntualizzato tre rischi che dobbiamo tenere presenti: Il primo è quello del formalismo, con un Sinodo ridotto a un evento straordinario, ma di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro. Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo, in modo di far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo. Terzo rischio è quello dell’immobilismo, del si è sempre fatto così. Questa parola, dice il Papa, è un veleno nella vita della Chiesa. Con il rischio che alla fine si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore. Per questo è importante che il Sinodo sia veramente tale, sia un processo in divenire; coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione.

Carissimi tutti, la dimensione celebrativa e per così dire ufficiale dell’inizio del Cammino sinodale non deve farci dimenticare che è la quotidianità, la ferialità, che sarà incisiva, nella misura in cui noi, presbiteri e laici sapremo vivere questa opportunità come un invito a rinnovarci, a tentare nuove strade, a rivedere lo stile di relazioni nella Chiesa.

Il Signore ci illumini e sostenga con il Suo Spirito. Amen.

 +Roberto, Arcivescovo