Signore, da chi andremo? Lettera Pastorale 2021

14-09-2021

Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

(Giovanni 6, 60-69)

 

Una domanda per ripartire

La domanda di Gesù ai discepoli Volete andarvene anche voi? mette a nudo il dramma che si sta consumando tra il Maestro e i suoi seguaci. È la domanda giusta per noi, oggi; per le nostre comunità, per la nostra Chiesa diocesana. Anche questi che viviamo sono tempi difficili, di cambiamento; si intravede il nuovo ma si fa fatica a lasciare quello che sempre si è conosciuto. Abbiamo la tentazione dell’abbandono o del rinchiuderci in noi stessi, sperando che la tempesta passi presto. Quando Pietro formula la sua domanda, Gesù è attorniato dalla folla che vuole vedere segni mirabolanti e di potere, i curiosi cercano le novità, gli avversari aspettano solo il momento opportuno per attaccare il Maestro per le sue parole e i suoi gesti. E infine ci sono i suoi discepoli, coloro che lo seguono da tempo. Certo, lo ammirano, sono affascinati dalle sue parole e dai suoi miracoli, ma al tempo stesso non capiscono tutto; sono turbati da alcune parole oscure, che scandalizzano, che fanno pensare, che esigono spiegazioni. Fra i discepoli di Gesù si fa strada la crisi. Sono lontani gli inizi entusiasmanti e la folla acclamante. Arriva il momento in cui si profila un cammino impegnativo. Gesù parla di dare sé stesso, di morire, di essere fedele sino alla fine; si parla di corpo e sangue. Anche noi, come comunità cristiana stiamo vivendo la crisi. Nel senso più profondo di questa parola: siamo in un tempo di scelte, chiamati a fare discernimento, aperti a dove lo Spirito del Signore vorrà portarci. Avvertiamo la lentezza e la pesantezza delle Istituzioni, ma siamo intimoriti dal doverci rimettere in cammino più agili, liberati da tante cose non essenziali, ricondotti a ciò che è necessario. Ci spaventa il fatto che seguire il Maestro significhi un cammino di croce. Siamo arrivati alla crisi! I quattro vangeli la testimoniano. Coloro che volevano farlo Re dopo il miracolo del pane (Gv 6,51), di fronte alle parole di Gesù, si scandalizzano. Il Maestro non accetta compromessi e dice ai mormoratori: Questo vi scandalizza? Se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? Cioè quando vi troverete di fronte a una realtà ancor più dura: attraverso la morte in croce, la morte ignominiosa, salirò a Dio da cui sono venuto (Gv 3,14; 8,28; 12, 32). Questo non ci piace. Vorremmo che Dio facesse doni secondo i nostri criteri, che agisse secondo le nostre vedute. Ci scandalizza questo Dio che si consegna nel Figlio, nella sua umile carne mortale. Si domandano i discepoli e noi con loro: com’è possibile che Dio si consegni a noi in un uomo, come figlio di Maria e di Giuseppe? (cfr. Gv 6,42). L’idea del Messia potente, glorioso, si scontra con un Messia fragile, povero, debole che finisce in mano agli uomini che fanno di lui quello che vogliono. È lo scandalo dell’Incarnazione a cui nessuno di noi si abitua mai, dato che sempre ci interroga e ci invita ad aprire il nostro cuore e la nostra mente ai criteri di Dio. È questo il nostro punto di partenza: aprirci ai criteri di Dio, capire come il Signore vuole guidare, attraverso il Suo Spirito, la vita di ciascuno di noi e della nostra Chiesa diocesana.

Volete andarvene anche voi?

La domanda di Gesù è dura, ma mostra che egli non ha paura di rimanere solo e non cerca facili consensi: Volete andarvene anche voi? Gesù è certo della fedeltà di Dio e sa di non essere solo, ma vuole che i suoi discepoli scelgano, si decidano. Il Vangelo annota che alcuni discepoli, scandalizzati dalle parole del Maestro, se ne vanno. Perché? Forse paura? Superficialità? Attaccamento a tradizioni? Troppa fatica nel seguire questo Maestro adesso esigente? Alla fine, quello che manca è la fede. Mi domando se la provocazione del Signore non possa essere applicata al tempo che stiamo vivendo. Siamo passati da una vocazione cristiana accolta con entusiasmo, ma poi forse rimasta un’adesione esteriore, che non sa integrare le fatiche del credere e dell’essere perseveranti, a un cristianesimo più sociale, di tradizione, che ci sembra comunque importante, ma non ha spinta, entusiasmo, amore. Ci siamo stancati. Come i discepoli, abbiamo avuto la tentazione di guardare indietro e andarcene.

Siamo tutti coinvolti

Fratelli e sorelle, dobbiamo dunque avere il coraggio di far risuonare nella nostra vita la domanda di Gesù: volete andarvene anche voi? Si tratta di una domanda necessaria affinché possiamo cercare nel nostro cuore ma anche come comunità, la risposta. La risposta è quella di Pietro: Signore da chi andremo? E deve divenire anche la nostra risposta. Essa ci può aiutare a leggere la stagione ecclesiale che stiamo vivendo oggi nella nostra Chiesa diocesana e italiana. È sotto gli occhi di tutti la situazione di cambiamento di epoca, che segna profondamente la dimensione ecclesiale (oltre che culturale, relazionale, climatica…). Esistono già analisi molto accurate su questo fenomeno e siamo consapevoli che la Chiesa, come istituzione, ma anche come comunità che abita un determinato territorio (sia essa parrocchia o diocesi) deve affrontare i segni della fatica che la pandemia ha solo reso maggiormente evidenti, ma che erano presenti anche prima in modo più o meno nascosto o velato. Ormai non siamo più in quello che papa Francesco chiamava il regime di cristianità. La società è pluralista, spesso non credente; è attratta da altri valori o da nessun valore; è vittima di economie di mercato e di un individualismo esasperato che porta a relativizzare qualsiasi cosa, orientata verso un vago desiderio di felicità. Come comunità ecclesiale ci domandiamo e domandiamo al Signore: cosa dobbiamo fare, dove dobbiamo andare? La tentazione è quella di fermarci ai bordi del cammino, senza speranza, disfattisti. Si sognano i tempi andati e si cerca talvolta in modo un po’ anacronistico, di afferrarci al passato, forse perpetuando modi e forme che hanno nutrito la comunità cristiana, poiché erano radicate in un contesto culturale e relazionale ben definito, ma che oggi non parlano, non trasmettono la gioia di essere di Cristo. Non ci rassegniamo al nuovo, al cambio, alla crisi e anche all’insuccesso dei nostri metodi pastorali. Noi insistiamo nell’usare metodi e visioni pastorali che chiedono dispendio di energie ma poi danno frutti scarsi, non adeguati. Avvertiamo come presbiteri e fedeli laici che il nostro stile pastorale ormai non è più efficace nel contesto, e anche il nostro annuncio del Vangelo rischia di essere spento e senza entusiasmo.

 Crisi e opportunità di cambiamento

Come i discepoli che chiedono a Gesù: Signore da chi andremo? dobbiamo capire che la crisi del momento presente non è un fastidio passeggero da sopportare, ma è un’opportunità per rimettere a fuoco la direzione del cammino, per operare la potatura che compie il Padre di Gesù e Padre nostro, per aiutarci a focalizzare la nostra attenzione sul suo Figlio. Siamo invitati ad annunciare il Vangelo nella sua verità, senza edulcorarlo, ma lasciando che ci conquisti di nuovo. Dicendo al Signore da chi andremo? noi testimoniamo che nessun maestro o guru sulla terra ha il potere di dare senso all’esistenza. Come comunità, come diocesi, dobbiamo, con coraggio, affrontare questo momento difficile, accogliere con umiltà le parole di Gesù che ci mettono di fronte alle nostre delusioni (di preti, di consacrati e consacrate, di cristiani uomini e donne) circa la nostra comunità parrocchiale e la nostra diocesi, che vorremmo diverse, più autentiche, missionarie, coinvolte. Abbiamo la tentazione forte di lasciare la comunità cristiana, di chiuderci nel nostro privato, di vivere solo di critiche o lamentele, di accontentarci di un cristianesimo sociale, di chiuderci in quella che altre volte ho chiamato la sindrome del cecchino, dove si sta alla finestra, pronti a sparare a quelli che in strada si affannano a fare qualcosa. Le parole dure di Gesù sono parole che esigono fedeltà e fiducia in lui. Quando gli diciamo: Signore da chi andremo? facciamo la nostra professione di fede e gli diciamo che abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio… Il Signore ci invita a fidarci di Lui, nonostante le dure parole che in questo momento la storia ci rivolge come credenti. Restiamo con Gesù, nonostante le nostre debolezze, anche di fede, perseveriamo nel seguirlo, Gesù allora si dona a noi, con la sua umanità: capisce le nostre difficoltà ma con la sua divinità sa anche trasfigurarle.

Dallo sconcerto alla speranza

L’esperienza della pandemia ha messo in chiaro che, come Chiesa italiana e diocesana, dobbiamo passare da una pastorale in cui la principale preoccupazione è fare programmi e utilizzare le strutture, a una pastorale che deve mettere al centro della propria riflessione e azione le persone. Come pastori e come cristiani siamo chiamati a favorire l’incontro con Dio in noi e negli altri. In questo periodo non sono mancati segni di speranza, indicazioni di rinascita. Intanto la cura rinnovata per la liturgia. La necessità di ridurre celebrazioni e feste ha portato in molte comunità a una rinnovata attenzione all’anno liturgico e alla sua capacità di aiutarci nel cammino mistagogico, cioè nell’introdurci ai misteri della vita di Cristo e dei sacramenti che Egli ci ha lasciato. Altro elemento importante che è stato sottolineato in questo tempo è la valorizzazione della Parola di Dio, la lettura attenta, la meditazione, la Parola pregata. Anche la catechesi ha perso molto, seppure non completamente, quello stile un po’ scolastico che l’ha caratterizzata per lungo tempo. Si è fatta poi avanti la solidarietà e la gratuità tra le persone. Le nuove povertà hanno mobilitato la generosità, l’attenzione ai bisognosi. Il mondo digitale ha fatto irruzione ancor di più nelle nostre vite e nella dinamica ecclesiale, sfidandoci a trovare linguaggi adatti. Questi sono alcuni segni che possono dare speranza e anche rinnovamento nel nostro modo di fare pastorale. La nostra evangelizzazione deve manifestare la gioia, più che concentrarsi sui doveri o insistere sulla impronta moralistica o sul sapere cose religiose. Una delle difficoltà che affrontano specialmente i catechisti e le catechiste nel proporre ai ragazzi un cammino in vista della celebrazione dei sacramenti, è la fatica nel sanare la divisione tra fede e vita. Dobbiamo inoltrarci meglio in una pastorale del quotidiano, che passa dalla conservazione alla generazione. La Chiesa è un luogo di maturazione della fede, di incontro con Dio e con la comunità. Il rapporto tra generazioni rispetto alla trasmissione della fede ormai è piuttosto incrinato se non assente. Non sarà facile, ma dobbiamo ripartire dalle famiglie, da una fede non solo cognitiva ma amata, quotidiana, narrativa. In questo, il cammino sinodale che la Chiesa italiana vuole avviare prossimamente potrà essere di grande aiuto.

C’è ancora desiderio di Dio? Giovani e Chiesa

Forse anche noi abbiamo ascoltato talvolta questa domanda: c’è ancora desiderio di Dio? Dirigo la riflessione che suscita questa domanda sui nostri giovani, non perché altre età della vita non ne siano coinvolte, ma poiché i giovani sono la risorsa e la risposta alla crisi della Chiesa. Hanno ancora desiderio di Dio? Chi li frequenta e parla con loro si rende conto che il desiderio di Dio c’è, forse non sempre è chiaro, magari si intreccia con il sogno della fraternità o con l’attenzione all’arte o il rispetto per la natura. Non sempre è con chiarezza aperto all’orizzonte del Dio rivelato in Gesù. Come comunità cristiana sappiamo bene che, nonostante lo sforzo della Chiesa per riprendere con rinnovato entusiasmo il dialogo con i giovani (un esempio è stato il Sinodo sui giovani del 2018, che ha visto una nuova metodologia di partecipazione degli stessi), gli anni della pandemia hanno di fatto raffreddato questo entusiasmo e accentuato le distanze. Nelle parrocchie tutti constatiamo che i giovani sono spariti sia dalle celebrazioni che dagli incontri. Eppure, non dobbiamo considerare questa situazione come se fossero loro il problema. Come ha detto A. Matteo, i giovani non sono il problema ma la soluzione! Tocca ai noi comprenderlo, e trovare nuovi percorsi di incontro. Ad ogni modo le statistiche non sono confortanti. In Italia i praticanti sono scesi in dieci anni dal 33% al 27%; tra i giovani (18-29 anni) i praticanti sono solo il 14% e continuano a calare. È legittima la domanda: l’uomo moderno ha ancora bisogno di Dio e della religione? Gesù continua a invitare, ma sembra che i giovani siano sopraffatti da mille cose, tra cui in modo particolare l’invasione dei social in ogni momento della vita. Spesso appaiono abbandonati alla noia, alla pigrizia, alle scorciatoie e al vuoto. Eppure, quando li avviciniamo senza pregiudizi avvertiamo che hanno fame di infinito, di bellezza, di Dio. Si interrogano su chi sono, da dove vengono, dove vanno, che senso ha l’impegno, il dolore, l’amore. Quando queste domande emergono favoriscono la relazione con il Mistero. Dobbiamo raccogliere, come adulti, la provocazione di un disagio che chiede risposte e nuovi atteggiamenti nel presentare la fede.

Dare valore alle relazioni

Quale potrebbe essere un nuovo atteggiamento sia per l’accoglienza dei giovani, ma anche di tutti, per frenare la secolarizzazione che tocca le nostre comunità? L’esperienza degli Atti degli Apostoli può darci qualche spunto (At 2,42-47). La comunità cristiana presentata dagli Atti, detto in modo sintetico e schematico, persevera in quattro cose: la trasmissione del messaggio di Cristo e il fare Eucaristia; l’unione fraterna; lo stare a mangiare insieme; il condividere i beni materiali secondo il bisogno di ciascuno. Nella nostra esperienza di comunità parrocchiale questi aspetti esistono, ma talvolta sbilanciati. Facciamo esperienza di liturgia, ma poi manca nella pratica religiosa la dimensione relazionale. Manca l’attenzione al socializzare, all’essere amici, o almeno, al favorire l’amicizia. I cristiani degli Atti condividevano, oltre alla dottrina, anche i dolori e le gioie, l’esperienza umana dell’incarnazione della fede nella vita. Ci si correggeva e aiutava a vicenda. Oggi, nelle nostre assemblee domenicali spesso partecipano sconosciuti che resteranno per sempre tali. È assai difficile oggi parlare di ciò in cui crediamo, e portando all’estremo il rispetto per il pluralismo, tacciamo sovente sulla nostra fede in Cristo. Talvolta sembra che nelle nostre assemblee domenicali si preghi da soli pur partecipando insieme alla Messa, pur recitando le stesse preghiere. E infine anche l’Eucaristia, che pure chiamiamo comunione, è troppo spesso vissuta come una dimensione individuale, privata. Ecco, i nostri giovani fanno fatica a interessarsi a questo modo di stare insieme. Se non si mettono in evidenza le relazioni umane che nascono dalla relazione con Dio, in qualche modo si disumanizza la fede. Se non condividiamo la nostra fede, essa si inaridisce. Anche la famiglia, che potrebbe essere un luogo di condivisione, ha smesso di esserlo come luogo privilegiato di scambio. La risposta a questa secolarizzazione sembra essere la ripresa delle relazioni all’interno della comunità cristiana. Dovrebbe essere un luogo privilegiato di incontro, di scambio, di condivisione. La vita quotidiana non può essere un elemento esteriore alla fede, essa fa parte della vita e va esplorata, parlata, condivisa con altri.

Ascoltare lo Spirito e accogliere l’invito al rinnovamento

Che cosa ci insegna la situazione su cui abbiamo riflettuto sino ad ora? Cosa possiamo imparare dalla realtà? Siamo forse tentati di rinunciare, di tirare i remi in barca e concentrarci su quello che è sicuro? Il Signore ci invita a superare lo sconcerto per trovare il modo di andare oltre. Siamo chiamati a reinventarci, a concentrarci sulle cose che veramente contano. Per usare un’immagine di Stefano Didonè, non dobbiamo fare come Ulisse, cioè tapparci le orecchie per resistere alle Sirene, ma piuttosto come Orfeo, che inventa un canto più bello per vincere le difficoltà. La Chiesa italiana e con essa la nostra Chiesa diocesana, si è interrogata sul cammino fatto sino a ora, sul momento presente, sulle difficoltà ma anche sui tanti aspetti positivi che esistono nelle comunità e sull’impegno di tanti cristiani. Ci viene proposto adesso di riprendere il cammino facendo tesoro delle esperienze anche difficili e dei momenti di crisi, per rimettere in moto l’evangelizzazione: restituire agli uomini e donne del nostro tempo la bellezza e l’attrazione del Vangelo, della Parola di Gesù. Sollecitati da papa Francesco, come Chiesa italiana siamo chiamati a metterci in atteggiamento di ascolto, di discernimento e di progettazione sotto l’ispirazione dello Spirito Santo.

Il Cammino Sinodale a cui siamo chiamati come Chiesa italiana e diocesana

La Chiesa italiana, durante la sua 74ª Assemblea, nel maggio scorso, ha messo al centro del suo interesse e della sua attenzione il cammino sinodale. Si sono mossi i primi passi ma ancora dobbiamo insieme comprendere come attuare in dettaglio uno stile di agire, ascoltare, progettare che deve coinvolgere tutti i membri della Chiesa. Il cammino sinodale, anche se cerca nuove strade fa parte però di un movimento che è stato già avviata da tempo, sia dalle intuizioni di san Paolo VI per arrivare a papa Francesco e dagli incontri, convegni e riflessioni che hanno caratterizzato la Chiesa italiana in questi decenni. Per quanto ci riguarda, poi, non possiamo dimenticare il Concilio Plenario Sardo (1992-2001) e infine i Sinodi delle nostre diocesi, in particolare quello del 2014 di Ales-Terralba e del 2015 di Oristano. Cosa si propone il cammino sinodale e come possiamo, noi Chiesa diocesana, farlo nostro e assimilarlo? Esso è un’occasione per il rilancio delle comunità e anche una riflessione attenta rispetto a quello che il presente ci dice con uno sguardo al futuro. Il tema che ci viene proposto: Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione è un impegno, una sfida, un progetto. Le parole chiave che indirizzeranno il cammino sinodale possono essere sintetizzate in questo metodo di lavoro: ascolto, ricerca e propostaSi vogliono, nel primo momento, ascoltare le domande di senso e i bisogni emergenti che toccano l’accompagnamento delle famiglie, i giovani, i poveri, l’annuncio, l’iniziazione cristiana. Si vogliono ripensare le strutture e le istituzioni per renderle agili, accoglienti. A questo seguirà una fase di discernimento e lettura sapienziale di quanto raccolto dalla riflessione e quindi una fase di proposta che guarda al futuro ma con lo stile della profezia, per un annuncio che sia evangelico, umile, libero, che susciti interesse. Dobbiamo prendere atto, come hanno scritto alcuni commentatori all’annuncio del cammino sinodale che, come Chiesa italiana, non siamo molto abituati a discutere e confrontarci. Si parla non solo di fare incontri formali, sintesi, gruppi, discussioni e documenti, ma far crescere luoghi di incontro e condivisione. Non possiamo negare che anche in diocesi facciamo fatica al dialogo: all’interno del presbiterio come anche tra i pastori e le proprie comunità locali. C’è ancora la tendenza a pensare, da parte dei pastori che tutto deve essere deciso da loro e nei fedeli laici ad aspettare quanto i pastori hanno deciso. Ecco allora che cosa è lo stile sinodale: ascoltarsi e dialogare realmente, perché alla luce dello Spirito, nel contesto della preghiera, possiamo insieme camminare verso il futuro.

Il Cammino Sinodale: soprattutto un metodo per l’ascolto del Popolo di Dio

Papa Francesco ci ha ricordato che: La sinodalità è un cammino ecclesiale che ha un’anima che è lo Spirito Santo. Senza lo Spirito Santo non c’è sinodalità. Non si può ridurre la sinodalità a sondaggi improvvisati o rincorrere il parere dei fedeli, quasi che si trattasse di aggiornare la Chiesa secondo i gusti e le tendenze di questo o quel gruppo. Il fatto di incontrarsi, parlare, ascoltarsi non deve farci pensare a una visione romantica e facile della sinodalità. Noi crediamo che lo Spirito guidi i credenti nella stessa direzione, ma non sempre tutti sono capaci di ascoltare la Sua voce, e distinguerla dalle proprie opinioni. Uno dei pericoli su cui dobbiamo vigilare è quello di non confondere il cammino di sinodalità con le aspettative personalistiche. Bisogna rimettere in movimento tutti i soggetti ecclesiali dentro il medesimo cammino e coinvolgerli nella realizzazione dello stesso obiettivo. Siamo coscienti che camminare insieme è un concetto facile da dire, ma difficile da mettere in pratica, dato che esige pazienza, attenzione all’altro, senza la ricerca di risultati immediati, con l’intenzione di camminare insieme. Come presbiteri e laici dobbiamo considerare tutti i membri della comunità come degni di attenzione e di ascolto. Tutti ricordiamo uno dei punti indicati da papa Francesco riguardo alla superiorità del tempo sullo spazio. Questo principio ci permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati, mettendoci nella condizione di sopportare le situazioni difficili e avverse e i cambiamenti di piani. In una parola, la prassi sinodale rimane aperta, in cammino, senza lasciarsi abbagliare da obiettivi facili e rapidi anche quando si toccano materie delicate.

Presbiteri, Consacrati e laici in una Chiesa sinodale

L’annuncio del cammino sinodale per la nostra Chiesa italiana e diocesana ha suscitato in noi, presbiteri e laici, reazione differenti. Forse ci è sembrato un tema abusato, oppure una ripetizione di cose già viste, o infine come l’ennesimo incontro di gruppi, discussioni e documenti che però non portano un effettivo cambiamento o coinvolgimento dei fedeli della comunità. Papa Francesco ci ha invitato, lo aveva già fatto nel convegno di Firenze del 2015, a metterci insieme, trovare parole, immagini, progetti per camminare unitariamente. Ci ha ripetuto che nessuno da solo può far attraversare alla Chiesa il momento presente. Ne sono convinto per le nostre chiese diocesane di Oristano e Ales-Terralba. Chiedo ai presbiteri di assumere con maggior convinzione lo stile del lavoro pastorale fatto insieme. Nelle comunità cristiane con più parrocchie e nelle zone pastorali tra paesi vicini è necessario far crescere lo stile di collaborazione, progettazione comune, condivisione degli itinerari formativi per le comunità. Tutto ciò sarà possibile se tra i presbiteri si coltiverà il dialogo, l’ascolto e il rispetto reciproco, la collaborazione e l’amicizia nel Signore. Questo atteggiamento favorirà anche la collaborazione tra Uffici diocesani, per una condivisione dei progetti, lo scambio di proposte e l’aiuto reciproco. Ascoltiamo con attenzione quello che il Papa ci ha detto: abbiamo bisogno di Chiese che si mettano in movimento. Anche le Religiose e i Religiosi della diocesi, incluse le Claustrali con la loro vocazione a sostenere con la preghiera il cammino della Chiesa, devono sentirsi interpellati a una maggiore collaborazione alla vita delle comunità parrocchiali, proponendo il loro carisma ma anche armonizzandolo con l’inserimento fruttuoso nel cammino delle comunità e nel progetto pastorale della diocesi. Il ruolo dei laici è stato tante volte sottolineato: corresponsabilità e collaborazione. Esso però deve essere stimolato, formato, favorito e ricercato sia da parte degli stessi laici che dei presbiteri. Sappiamo che alla realizzazione di questi atteggiamenti si oppongono diversi fattori, fra cui quella che papa Francesco stigmatizza come la clericalizzazione anche dei laici. Siamo chiamati tutti a metterci in un atteggiamento dove la vita della comunità cristiana riguarda tutti, è compito di tutti, seppure secondo la vocazione e chiamata di ciascuno, e richiede il contributo di tutti.

Esigenze del cammino sinodale

Metterci davvero nella prospettiva del cammino sinodale significherà rivedere anche il nostro stile di vivere la fede e di esercitare, per noi presbiteri, il ministero presbiterale. Dobbiamo maturare nelle relazioni per dare forma a uno nuovo stile di Chiesa: relazione tra vescovo e presbiteri, dei presbiteri tra loro, tra presbiteri e diaconi, tra resbiteri, persone consacrate e laici. Forse facciamo resistenze e non vogliamo vedere le cose come sono: c’è un cambiamento profondo nella Chiesa e forse, non credo sia esagerato pensarlo, un pericolo di fine della Chiesa ma anche l’opportunità di una nuova rinascita. È terminato il periodo in cui la fede era solo adesione alla dottrina e alle pratiche. Questi cambiamenti incidono sia nel modo di vivere il ministero pastorale da parte dei presbiteri sia quello di vivere la propria fede nella comunità da parte dei laici, tutti insieme facciamo comunità, popolo di Dio.

Ricominciare dall’evangelizzazione

Come presbiteri ci rendiamo sempre più conto che non ci possiamo solo occupare dell’amministrazione dei sacramenti (peraltro, anche questo aspetto è molto diminuito: i matrimoni, i battesimi, la Riconciliazione; anche la prima Eucaristia e la Confermazione hanno subito flessioni importanti nei numeri). Tutti i giorni constatiamo una certa inefficacia dei percorsi di iniziazione cristiana, frutto di molti fattori ma su cui influisce in modo notevole la rottura della trasmissione generazionale della fede. Siamo ancora debitori alla categoria sociologica dei credenti ma abbiamo bisogno di ritornar a quella dei fedeli laici per scelta. Sono molti i segnali di crisi e già ne abbiamo parlato. Ci sono, anche se meno evidenti, i segnali di un nuovo inizio: per esempio ci sono quelli che ritornano alla fede dopo un tempo di allontanamento o freddezza, riscoprono il gusto di incontrare il Signore. Ci sono altre vie per l’incontro con il Signore: esperienze spirituali, iniziazione al Vangelo, pellegrinaggi, per aiutare la riscoperta della propria identità cristiana.

Nella nostra diocesi

I fedeli delle nostre comunità cristiane hanno iniziato a comprendere che si tratta di un cambio profondo. Lo hanno percepito, anche se talvolta in modo traumatico, nel fatto di non avere più un parroco a totale disposizione ma di condividerlo con altre comunità, a volte due, tre, quattro… Anche i presbiteri vivono la percezione del proprio ministero in modo diverso, non senza fatica. Guidare e aiutare una comunità è un conto, ma quando sono due, tre, quattro e si vuole mantenere lo stile di presenza pastorale che si era tenuto sino a venti, dieci anni fa, già le cose cambiano. Si tratta allora di concentrarci sull’essenziale, su quello che veramente è nutrimento per la vita della fede, per la crescita della comunità. Non sono scelte facili! Cosa tagliare, a cosa rinunciare? Come educare le persone a capire che non si tratta di fare molte cose ma piuttosto di farne bene e in profondità alcune, essenziali, vitali per la propria vita di fede? Ciò che convince tutti noi è la capacità di vedere qualcuno che cerca di vivere il Vangelo, che lo testimonia. Il cammino sinodale che ci viene proposto è prima di tutto un nuovo stile di Chiesa che mette al centro l’ascolto, il discernimento, l’evangelizzazione, la progettazione che nasca dall’ascolto della realtà. Ma ciò che rende efficace tutto questo è in primo luogo l’invocazione allo Spirito Santo perché agisca con la Sua grazia, perché il nostro cuore venga conquistato dalla verità. Non ci sarebbe vero frutto spirituale se non accompagnati dallo Spirito di DioIl primo atteggiamento che dobbiamo coltivare, cercare, rendere solido è proprio quello della preghiera per la nostra comunità, per la nostra Chiesa. Tutti dobbiamo sentirci responsabili della preghiera e soggetti attivi di evangelizzazione, come battezzati che partecipano alla vita della Chiesa e alla sua missione (Lumen Gentium 32). La sinodalità riguarda l’agire della Chiesa nella continua ricerca di fedeltà al Vangelo nella storia. La pratica del discernimento rende concreto lo stile sinodale.


Alcune indicazioni per il cammino sinodale

I tempi del cammino sinodale saranno scanditi in un percorso a tappe che in modo generale sarà così articolato:

  • Avvio del cammino sinodale (2021) in sintonia con l’avvio della preparazione del Sinodo universale.
  • Prima tappa: dal basso verso l’alto (2022). Coinvolgimento del popolo di Dio con momenti di ascolto, ricerca e proposta nella diocesi, nelle parrocchie e nelle realtà ecclesiali.
  • Seconda tappa: dalla periferia al centro (2023). Momento unitario di raccolta, dialogo, confronto con tutte le espressioni del cattolicesimo italiano
  • Terza tappa: dall’alto verso il basso (2024). Sintesi delle istanze emerse e consegna, a livello regionale e diocesano delle prospettive di azione pastorale con momenti di verifica.
  • Giubileo del 2025. Verifica a livello nazionale per fare il punto del cammino compiuto.

Passi concreti da attuare nelle nostre comunità cristiane

I passi che qui vengono suggeriti sono solo indicazioni per stimolare la riflessione dei presbiteri e di tutta la comunità parrocchiale. Essi sono lasciati alla realizzazione creativa nel contesto specifico di ogni comunità cristiana. Suggerisco di verificare periodicamente, durante l’anno, gli obiettivi scelti e valutare se ci si sta muovendo, se vi son passi concreti. Inoltre, si potrebbero favorire incontri tra Consigli Pastorali di più parrocchie e infine, valorizzare gli incontri dei Presbiteri per Forania sugli stessi temi.

  1. Obiettivo: Curare la vita interiore della comunità, favorendo la preghiera, la meditazione, l’assiduità alla Parola di Dio. Passi concreti: offrire approfondimento del tempo liturgico; favorire gli esercizi spirituali della comunità; formare alla meditazione comunitaria della Parola di Dio. Insegnare e favorire, nella preghiera personale, l’invocazione allo Spirito Santo. Guidare i fedeli al senso della Adorazione Eucaristica radicata nella partecipazione alla celebrazione della Messa.
  2. Obiettivo: L’ascolto è il primo atteggiamento. Ascolto attento dei segni dei tempi e di ciò che lo Spirito Santo suggerisce. Passi concreti: riunione della comunità aperta a chi desidera partecipare, dialogo aperto di riflessione sulla esperienza, riflettendo su: cosa ci ha insegnato il tempo della pandemia come comunità cristiana? Cosa abbiamo imparato? Quali atteggiamenti abbiamo visto che aiutano la comunità? In che cosa dobbiamo maturare? Favorire momenti di riconciliazione comunitaria, superando divisioni, rancori, distanze, incomprensioni.
  3. Obiettivo: Attivazione di strumenti di partecipazione: il Consiglio pastorale parrocchiale e il Consiglio Affari Economici. Non esecutori ma vero luogo per il discernimento del cammino comunitario rispetto alle scelte pastorali e alla gestione dei beni economici. Nuova composizione e riunione del Consiglio Pastorale Diocesano. Passi concreti: riunire periodicamente i Consigli ma anche formare i membri con incontri ad hoc, aiutandoli a crescere nella fede e nella partecipazione.
  4. Obiettivo: Aiutare la comunità a vivere l’anno liturgico e i tempi forti con alcune proposte concrete. Sottolineare l’importanza dell’Eucaristia domenicale. Passi concreti: valorizzare quanto proposto dalla liturgia, dalla nuova traduzione del Messale. Stimolare la famiglia perché viva i tempi liturgici attraverso semplici segni e momenti di preghiera da vivere in casa. Portare la Parola a contatto con le persone.
  5. Obiettivo: La Carità e l’attenzione ai più deboli: visitare, ascoltare, accogliere. Passi concreti: maggior presenza nelle famiglie, nelle case degli ammalati. Attenzione e accoglienza alla povertà, non solo materiale, ma anche esistenziale.
  6. Obiettivo: valorizzare i diversi ministeri come il ministero della comunione, il ministero della Parola, dell’ascolto del malato, della bellezza e cura della Chiesa, etc. Passi concreti: individuare persone per stimolarle alla formazione ai ministeri al servizio della comunità. Organizzare momenti di formazione proposti dall’Istituto di formazione Teologica.
  7. Obiettivo: Attenzione a quelli che si sentono ai margini della vita ecclesiale: trovare occasioni di incontro, ascolto, dialogo, partendo dalla vita concreta, dai problemi quotidiani. Passi concreti: proporre incontri informali, di ascolto, di discussione su temi condivisi. Partire dalla cultura per porre domande.
  8. Obiettivo: I giovani: quali atteggiamenti e punti di contatto? Come utilizzare i social per coinvolgerli? Come cercare un incontro e dialogo con coloro che vivono al margine, o sono praticanti saltuari, ma non per questo rifiutano il dialogo o la riflessione su alcune domande che la vita suscita? Passi concreti: coinvolgimento della pastorale giovanile e vocazionale e della pastorale universitaria, con proposte di riflessione che tocchino temi a cui i giovani sono sensibili (rispetto del Creato, attenzione alla sofferenza e solidarietà etc.)
  9. Obiettivo: famiglie: favorire le reti educative attivando le corresponsabilità che coinvolgono la comunità educante e la società civile. Passi concreti: fare discernimento accurato e formare coloro che sono stati individuati come educatori e formatori nella comunità. Affiancare le famiglie in situazioni di fragilità o difficoltà educative; favorire proposte di volontariato con le famiglie con disabili.
  10. Obiettivo: la pietà popolare. Riflettere con la comunità su come ricondurre feste, processioni, altre espressioni di pietà popolare, al fondamento evangelico. Passi concreti: Ipotizzare una riduzione delle processioni (senza eliminare il ricordo del Santo con la celebrazione o la novena), scegliendo, in dialogo con il Consiglio Pastorale e la comunità, quelle più significative e veramente partecipate. Stilare indicazioni per le processioni e i comitati (a livello diocesano).

Conclusione

Affido questa riflessione alle comunità cristiane, a ciascuno dei fedeli laici, uomini e donne, ai Presbiteri, ai diaconi, alle consacrate e ai consacrati, perché siano di stimolo nel muovere i primi passi del cammino sinodale e renderlo sempre più uno stile, un metodo di incontro, ascolto e dialogo nelle nostre comunità parrocchiali. Non tutto è detto, non tutto è indicato, ma molto è lasciato proprio ai Presbiteri e ai fedeli laici che, sentendosi coinvolti, trovino nuovi percorsi di riflessione ed espressioni concrete per rinnovare l’identità missionaria della Chiesa e di ciascuno di noi. Sono partito dalla domanda di Pietro a Gesù: Signore, da chi andremo? volendo sottolineare in questo modo il momento difficile ma anche carico di opportunità che stiamo vivendo. Il cammino sinodale che la Chiesa ci propone può essere di grande stimolo per riprendere un metodo di ascolto, di condivisione, di progettazione insieme, come comunità. Iniziamo insieme questo cammino invocando lo Spirito del Signore, l’unico Maestro che può guidarci. Viviamo con convinzione e gioia questo momento importante, bello, non privo di fatiche e resistenze, perché la nostra Chiesa annunci di nuovo con gioia il Vangelo di Gesù.

A tutti assicuro la mia preghiera e benedizione.

Oristano – Ales, 14 settembre 2021, Festa di S. Croce

+ Roberto, Arcivescovo Metropolita di Oristano, Vescovo di Ales-Terralba


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