Omelia per la Messa Crismale 2020

28-05-2020

MESSA CRISMALE

ORISTANO 2020

 

Carissimi presbiteri e diaconi, carissimi fratelli e sorelle…

nessuno di noi avrebbe immaginato, solo qualche mese fa, l’inusuale contesto in cui ci saremo trovati a celebrare la Messa crismale. Lontana dalle celebrazioni della Settimana Santa e circondata da restrizioni e attenzioni che rendono questo momento non meno bello e significativo, ma certo più sobrio e contenuto in quelle manifestazioni di festa e di fraternità che solitamente lo caratterizzano. La difficile, e per tanti uomini e donne, anche drammatica situazione che stiamo vivendo, ormai la conosciamo bene.

Non possiamo negare che abbiamo faticato, noi e le nostre comunità cristiane, a comprendere e accogliere le limitazioni che veniva richieste. Forse siamo ancora tentati di minimizzare, considerato che la nostra regione non ha avuto grandi numeri di contagiati e di decessi. Non dobbiamo però essere superficiali, ma piuttosto prudenti per il bene di tutti e anche nostro.

È facile constatare che la vita sociale è stata sconvolta nei suoi ritmi e consuetudini, trasformando i rapporti familiari, gli stili comunicativi, la quotidianità. I problemi connessi con la ripresa delle attività lavorative, i debiti da pagare, l’incertezza del futuro, hanno ampliato la fascia sociale di “nuovi poveri”, creando notevole incertezza sul futuro. Ma anche la vita di fede, nelle sue espressioni comunitarie e personali, è stata segnata profondamente.

Nessuno mette in dubbio che la fede nel Signore non è legata in modo rigido a luoghi o celebrazioni; essa può continuare ad esprimersi in profondità e verità anche nel segreto del nostro cuore e nell’angusto spazio di una stanza della propria casa. Molte comunità cristiane sparse nel mondo vivono limitazioni e restrizioni ben più pesanti riguardo all’espressione e vissuto della fede.

D’altra parte, siamo profondamente convinti che la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia, specialmente della domenica, ha una valenza teologica, comunionale, missionaria unica, sedimentata in secoli di vita cristiana e ribadita dal Magistero della Chiesa. Essa non è dunque accessoria, ma fa parte del nostro vivere e nutrire la fede “in comunione e comunità” con il Signore e con gli altri. La privazione della Eucaristia con il popolo ha toccato le nostre comunità cristiane e ci ha fatto soffrire. Ma abbiamo imparato proprio da queste limitazioni ad apprezzare con maggior consapevolezza quello che prima ci veniva offerto abbondantemente e che non sempre riuscivamo a valorizzare appieno. Non mi soffermo ora a riflettere come anche gli altri sacramenti, in questo contesto, sono stati per così dire “coinvolti”: il sacramento della riconciliazione, il battesimo e la cresima, e l’unzione degli infermi, incluso l’impossibilità almeno sino ai primi di maggio, di poter celebrare le esequie cristiane con la Messa.

Desidero ringraziare ciascuno di voi per l’impegno profuso in questo periodo nell’accompagnare le comunità cristiane, facendo sentire la presenza e vicinanza. Abbiamo potuto riprendere da poco più di una settimana la celebrazione delle liturgie con il popolo, specialmente l’Eucaristia. Ma viviamo ancora quel contesto di limitazioni a cui dobbiamo abituarci. Questa stessa celebrazione della Messa Crismale, che vuole manifestare visibilmente l’unità del presbiterio con il vescovo e la consacrazione degli Oli che poi saranno distribuiti alle parrocchie, ha dovuto subire limitazioni nella partecipazione dei fedeli, presenti qui con una rappresentanza, non potendo accogliere tutti coloro che lo avrebbero desiderato.

La Messa Crismale ci offre occasione per riflettere su alcune dimensioni del nostro essere Chiesa: la comunione presbiterale con il vescovo e la benedizione degli Oli.

Desidero riflettere su questi due aspetti. In primo luogo, la comunione tra i presbiteri e il vescovo. Non posso esimermi dal chiedere a me stesso, a questo proposito, come ho vissuto la comunione con il presbiterio, con ciascuno di voi presbiteri. Mi chiedo se l’ho favorita, accresciuta, curata, in questi mesi di presenza in Diocesi. Mi sono chiesto più volte che cosa è essenziale nel ministero del Vescovo, a che cosa bisogna dedicare le energie, il tempo e la preghiera. Ho percepito che ciascuno di voi ha una sua certa “teoria” di come il vescovo dovrebbe esercitare il suo ministero: chi lo vede compagno di viaggio, chi come Padre che deve ascoltare, chi come arbitro di una partita, chi controllore delle cose che non vanno, chi un super risolutore di ogni problema, chi il fustigatore di questo o quel difetto degli altri presbiteri e così via. Evidentemente in qualche modo ciascuna di queste prospettive ha qualche granello di verità, che però deve essere armonizzata nel contesto del servizio alla Chiesa Diocesana e universale, alla comunità dei credenti, all’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo.

Come sapete, ho dovuto affrontare sin dall’inizio della mia presenza in Diocesi molte urgenze e situazioni complesse che hanno talvolta frenato il desiderio di una maggiore vicinanza alle comunità cristiane, anche se penso di aver dato comunque accoglienza ai presbiteri; a tutto questo si è aggiunta la necessità di armonizzare il calendario anche con gli impegni della Diocesi di Ales- Terralba che debbo ugualmente servire come pastore; a tutto ciò si sono aggiunte, ultimamente, le limitazioni dovute alla pandemia.

Queste considerazioni hanno solo l’obiettivo di una condivisione familiare con voi e sono occasione per chiedervi di aiutarmi, come vescovo, a vivere e far crescere il mio ministero episcopale e il servizio alla Chiesa diocesana e alla fraternità presbiterale, per incoraggiarvi a uno stile di comunione e condivisione.

Vorrei adesso spendere qualche parola riguardo alla comunione tra di voi. Allo stile di fraternità presbiterale e alle relazioni che dovrebbero esserci tra presbiteri. Sin dal mio arrivo in diocesi e dai nostri primi incontri, ho insistito molto sulla necessità di far crescere la fraternità presbiterale, come la chiave per ogni possibile progetto pastorale che altrimenti sarebbe solo sulla carta e costruito a tavolino. Voi stessi avete tante volte sottolineato questa urgenza. Quali sono i passi che è necessario fare? Credo che siano importanti alcuni “codici relazionali” senza i quali non vi potrà essere nessuno progresso reale. In primo luogo, il “codice del rispetto”. L’uso dei social durante questo tempo di coronavirus ha messo in evidenza la necessità di darci un “galateo digitale, riguardo lo stile dei nostri messaggi e commenti. Non possiamo dimenticare che anche l’uso dei social deve essere espressione della nostra vocazione presbiterale. Siamo persone pubbliche, e in questo è coinvolta tutta la nostra persona che non può mai smettere di essere un sacerdote e un pastore che propone i valori del vangelo. Quindi dobbiamo approfondire uno stile che nasce dal rispetto o non dal dire qualsiasi cosa su tutto e tutti. Invece, talvolta su questo aspetto vi sono state occasioni di sconcerto e confusione anche tra i laici. Tralascio i particolari.

Accanto al “codice del rispetto” vi è quello del “codice della benevolenza”. Dobbiamo abituarci a volerci bene, a portare, come direbbe san Paolo “i pesi gli uni degli altri”. Non si tratta di romanticismo ma di carità. Invece ho scoperto talvolta una certa – mi si passi l’espressione – sindrome del cecchino, dove non si aspetta che l’occasione per sottolineare gli errori degli altri, i passi falsi. La correzione fraterna è altra cosa. Nasce appunto dalla benevolenza dell’altro. Se non sviluppiamo questa dimensione, in cui riconosciamo agli altri confratelli, al di là dei limiti e anche del possibile disaccordo su tanti temi, la loro intrinseca amabilità, la nostra predicazione al popolo di Dio manca di un elemento essenziale per essere efficace: la coerenza, e finisce per essere esercizio accademico.

Infine, credo che a questi primi due codici vada aggiunto il “codice della verità”.  Ciò significa che il nostro dialogo deve essere veritiero, cioè non debitore del “sentito dire” o peggio alle chiacchiere o critiche gratuite. Siamo chiamati a esprimere quello che pensiamo ma anche ascoltare quello che pensano gli altri, non per vincere una competizione o far tacere l’interlocutore, ma piuttosto di ritrovarci in una sintesi più alta, per poter riprendere insieme il cammino. Ecco, ritengo che la costruzione della fraternità presbiterale, se vuole essere autentica, debba cominciare da questi elementi fondamentali che ciascuno di noi può meditare e far propri.

E adesso permettete una breve riflessione sui segni eloquenti di questa celebrazione. Possono essere sintetizzati in alcuni immagini: l’olio versato, il profumo del Crisma, la nostra assemblea cristiana che celebra.

La riflessione su queste tre elementi potrà esserci utile anche per il cammino con le nostre comunità. La pandemia ha imposto alla comunità limitazioni nelle celebrazioni, nell’incontrarsi, nel formarsi, nel vivere la carità.  Ha offerto anche spunti per rinnovare e ripensare il cammino cristiano. Infatti, tornare a “come prima” senza riflettere su cosa ci ha insegnato la pandemia non sarebbe saggio. Dobbiamo aiutare le comunità a fare un passo in avanti nella relazione con il Signore, nella manifestazione della carità, nella comunione tra noi. Il primo segno che ci viene incontro in questa celebrazione è quello dell’olio. Sarà consacrato e poi distribuito a voi presbiteri che lo porterete nelle vostre parrocchie. È il destino di quest’olio: essere versato e consumato. In questo segno è simboleggiata la chiamata di cui tutti siamo destinatari.

Noi presbiteri abbiamo accolto la nostra vocazione per essere “versati”, soprattutto nella vita dei nostri fratelli e sorelle, nella vita dell’umanità. Forse sappiamo di non essere di ottima qualità, ma ciò nonostante siamo chiamati a farci prossimo agli altri con l’olio della consolazione, della speranza, della verità, della gioia. Questo è il nostro compito e missione che offre il significato alla nostra vita e vocazione. Siamo messi nella condizione del servizio ai fratelli, anche se talvolta c’è tristezza, fatica, tante cose da fare, la risposta talvolta tiepida e povera delle nostre comunità.

Carissimi sacerdoti, riprendiamo con forza le motivazioni della vocazione che il Signore ci ha dato, offriamo noi stessi e confidiamo anche che il Signore completerà con la sua opera il nostro desiderio di servirLo.

Il secondo segno è quello del Crisma. L’olio diventa Crisma per l’invocazione dello Spirito Santo e l’aggiunta di profumo. Il profumo è una realtà-segno, una dimensione antropologica immediata che non ha bisogno di tante spiegazioni. Vissuto e applicato alle cose di Dio ci fa capire che nel rapporto con il Signore è implicato tutto noi stessi e la relazione con Dio non è mai solo pensata o intellettuale ma coinvolge la persona nella sua umanità più immediata. Il profumo del Crisma è un invito per ciascuno di noi a portare nella nostra quotidianità questo segno: “Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo” (2Cor 2, 15) specialmente nei contesti, situazioni, relazioni dove esso è maggiormente necessario perché invece c’è presenza del deterioramento della relazione, dell’umanità profonda delle persone. Dove il male spande il suo cattivo odore, bisogna portare il buon odore di Cristo.

Infine, il segno dell’assemblea cristiana che celebra. Oggi è un segno limitato, in qualche modo ferito, che non vede una partecipazione del popolo di Dio in modo pieno a causa dei motivi che tutti conosciamo. Ciò nonostante esso è ancora segno, perché credo e spero che ciascuno di voi porti nel cuore le proprie comunità parrocchiali, le situazioni difficili e di dolore di tanti cristiani, l’angoscia per il futuro e le situazioni di povertà che si sono create in questo tempo. Ritornando nelle vostre comunità fate sapere alla vostra gente che li avete ricordati, che avete pregato per loro in questo incontro con il vescovo. Che gli Oli che riportate e che serviranno per il cammino sacramentale della comunità, sono il segno che tutti loro sono stati ricordati e amati.

Infine, una parola di ringraziamento e un invito alla preghiera. Ricordiamo gli Arcivescovi emeriti Mons. Pregiuliano Tiddia, Mons. Ignazio Sanna. I vescovi nativi della nostra diocesi: Mons. Sergio Pintor, vescovo emerito di Ozieri; Mons. Mario Fiandri, Vescovo di Madarsuma e Vicario Apostolico di El Peten (Guatemala); Mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alghero-Bosa. Grazie a Mons. Paolo Atzei, Arcivescovo emerito di Sassari che, con generosità si rende sempre disponibile per il ministero pastorale in Diocesi.

Preghiamo  per i nostri confratelli che in questo anno celebrano anni giubilari: il 71mo di ordinazione Don Ernesto Zireddu, decano del presbiterio;  il 70mo: Don Nicola Cabiddu; il  60mo: don Cenzo Curreli; il  50mo di Ordinazione: del Vicario generale don Paolo Ghiani, don Titino Usai, don Antonio Pinna, don Antioco Ledda, don Mario Cuscusa, don Giovanni Usai, don Giuseppe Cogotzi, Don Giovanni Zedda.

Ricordiamo coloro che celebrano il 25mo: Don Giuseppe Sanna, don Gianni Pippia, Don Giuseppe Pani e i nostri giovani presbiteri che ricordano il loro primo anno di ordinazione: Don Enrico Porcedda, don Emanuele Lecca, Don Alejandro Garcia Quintero, P. Silvano Bianco, dei Frati Minori Conventuali.

Ricordiamo anche i nostri missionari: Don Luciano Ibba in Perù e don Valerio Casula in Germania.

Ricordiamo nella preghiera i nostri seminaristi. E infine Un ricordo speciale per i sacerdoti defunti: Mons. Mario Carrus, don Michele Marotto, don Silvio Lai e don Giovanni Marceddu.

Non si tratta di un ricordo formale ma di un vero ringraziamento per il servizio che ciascuno di loro ha offerto e offre alla Chiesa nei vari uffici e compiti. Grazie. La comunità presbiterale è fatta da persone concrete, storie di vocazioni e di servizio che la costruiscono. Affidiamoli nella lode e intercessione al Signore, perché continui a animarli e sostenerli nel loro cammino.

A tutti voi chiedo anche una preghiera per me, perché sappia servire questa Chiesa, il Signore mi doni discernimento e ascolto. Amen

+ Roberto Carboni, arcivescovo