Festival della Comunicazione – Omelia di Mons. Giovanni D’Ercole per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

Cattedrale di Oristano - 13 maggio 2018

Oggi, celebriamo la festa dell’ascensione, penultima tappa del tempo di Pasqua.

Gesù, dopo aver compiuto la missione di salvare gli uomini col dono di sé, torna al Padre. Un percorso, il suo, che ha portato il Padre nel cuore dell’umanità e ora conduce l’umanità nel seno della Trinità.

L’Ascensione non è la festa dell’addio, ma piuttosto una conclusione e un nuovo inizio: segna cioè il passaggio dalla sponda rassicurante della presenza fisica di Gesù alla sponda della missione della Chiesa nel mare aperto della storia. L’Ascensione inaugura il tempo della maturità e della responsabilità. Ci sono due parole che ci liberano dal rischio di sentirci abbandonati: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) e “riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni fino ai confini della terra”(At 1,8).

Siamo quindi invitati a celebrare l’Ascensione come inizio di vita adulta: Dio si fida di noi e ci affida la missione di portare avanti l’opera che Lui ha iniziato, che è quella di annunciare il Vangelo invitando ogni uomo e ogni donna a rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo.

Se Gesù è stato in mezzo a noi come uomo, soltanto per circa 33 anni, ora sta in mezzo a noi per sempre come Risorto, vivo e operante. Una presenza, dunque, non virtuale, ma sacramentale, concreta ed efficace. Salendo al cielo, infatti, non si allontana dagli uomini che ha amato e che continua ad amare, né tanto meno abbandona alla solitudine quanti, nel Battesimo, ha unito a sé come tralci alla vite e ha cristificati ungendoli di Spirito Santo perché vivano da figli di Dio e portino il Vangelo dappertutto. Ma come possiamo svolgere il compito che Gesù ci ha assegnato, se non rimaniamo/dimoriamo in lui, se non ci amiamo come lui ci ama, se non ci nutriamo ogni Domenica di Lui che è Parola e Pane di vita? Dobbiamo essere persuasi che Gesù non sale al cielo per fuggire dalla terra, ma per stare ancor di più e meglio accanto a noi e per guidarci dall’alto nel delicato compito di irradiare misericordia e fraternità su questa povera terra che troppo spesso soffre di mancanza di amore. Evangelizzare è proprio comunicare l’amore di Dio.

È chiaro che un ruolo fondamentale riveste la verità dell’amore, la verità che ci fa liberi, conosciuta, proclamata e vissuta da noi cristiani. Nel suo messaggio per la 52a giornata mondiale delle comunicazioni sociali papa Francesco tocca il tema delicato della verità parlando delle cosiddette fake News e giornalismo di pace. Accenna al dramma della disinformazione che consiste nello screditare l’altro facendo della falsità lo strumento di violenza e di distruzione dell’altro. Questo avviene quando la comunicazione, in ogni modo e mezzo, oggi è e diventa estremamente pervasiva. sfruttando emozioni facili e immediate suscita l’ansia, il disprezzo, la rabbia, la frustrazione. Ciò è possibile grazie a un uso manipolatorio dei social network facendo diventare credibili notizie false difficilmente smentibili perché è sempre impossibile fermare o cambiare rotta a un treno in corsa. Bisogna sempre chiedersi dove nasce un’informazione, qualsiasi essa sia. La notizia non nasce sotto un cavolo, come si diceva un tempo dei bambini. Nessuna disinformazione è innocua e anche una distorsione della verità in apparenza innocua può creare effetti devastanti perché fa leva sulla naturale bramosia insaziabile di ognuno di noi, che facilmente si accende nel cuore umano. Il discernimento è pertanto compito responsabile non solo di chi è chiamato ad informare, ma anche di chi oggi, nel processo integrato della comunicazione si trova inevitabilmente immerso nell’oceano comunicativo.

A ben vedere oggi tutti siamo informati e, qualche volta anche senza saperlo, informiamo.

La domanda nasce spontanea: che fare? Il papa, nel citato messaggio, opportunamente invita a lasciarsi purificare dalla verità intesa come ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. E in questo senso relazionale ci si può appoggiare solamente sul Dio vero e vivente, perché come Gesù proclama davanti a Pilato, Lui è la verità. Dio è amore: questo è il messaggio cristiano che abbiamo ricevuto e che l’intera umanità ha sete di conoscere e di sperimentare.

Lo ricorda opportunamente santa Giuliana di Norwik, una mistica vissuta a cavallo tra il XIV e XV secolo, che il 13 maggio 1373 ebbe rivelazioni sull’amore di Dio, considerato non solo come Padre ma addirittura anche come madre. Benedetto XVI parlò di lei in una delle sue catechesi a proposito proprio dell’imbarazzante domanda che spesso ci poniamo: se Dio esiste, se Dio è amore, perché la sofferenza, soprattutto la sofferenza innocente dei bambini, dei malati terminali etc?

È a questo punto che la nostra riflessione diventa atto di fede perché solo la certezza dell’amore di Dio può liberare l’anima dal dubbio estremo che conduce o alla violenza o all’abbandono totale di sé.

A questo riguardo, oggi, nel vasto oceano della comunicazione globale occorre in ogni modo purificare qualsiasi input dal veleno della falsità e dell’odio, per irrorarlo con l’olio e la medicina confortatrice dell’amore di Dio.

Abbiamo tutti un cammino da percorrere davanti a ciascuno di noi. liberazione dalla falsità oe ricerca delle relazioni che sono i due ingredienti, come dice il Papa, per rendere le nostre parole e i nostri gesti veramente autentici e affidabili. Si capisce bene allora perché secondo papa Francesco il miglior antidoto contro la falsità non sono le strategie ma le persone, persone libere dalla bramosia,impegnate nel l’ascolto e nel dialogo sincero e paziente perché emerga la verità; persone attratte dal bene e responsabili nel loro linguaggio. Il volto della verità che diventa vita si chiama amore per gli altri, solidarietà, fraternità e compassione cioè condivisione di amore con chi è in difficoltà, chi soffre e vive ai margini della società. Mercoledì prossimo si celebrerà la festa di san Luigi Orione, il fondatore della mia congregazione. Egli ha fatto dell’amore di Dio, della carità, l’unico scopo della sua vita. Ci insegni lui l’arte della carità, la sola medicina che salva e salverà il mondo!

Vorrei concludere chiedendo a Maria, che oggi ricordiamo nella sua prima apparizione a Fatima, nel 1917, che aiuti tutti coloro che in vario modo e con diverse responsabilità e ruoli articolati, lavorano, operano e vivono nel vasto oceano dei media integrati.

Una preghiera particolare perché la nostra società, assetata di pace, possa conoscere un giornalismo fatto da persone e per persone, un giornalismo di pace.