Omelia per la Messa Crismale 2019

18-04-2019

Cari fratelli e sorelle,

siate i benvenuti a questa solenne concelebrazione eucaristica nella quale consacro il crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno nell’amministrazione dei Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro e gli altri oli usati per il Battesimo, l’Unzione degli Infermi e i Catecumeni. Oggi, in modo particolare, è la festa del sacerdozio ordinato, unita a quella del sacerdozio comune o battesimale dei fedeli, perché Gesù Cristo ha fatto di noi, nuovo popolo di Dio, “un regno di sacerdoti per Dio suo Padre” (Ap1,6; cfr. 5,9-10). In quanto battezzati, noi siamo stati consacrati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, per essere un’abitazione spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in sacrificio spirituale tutte le nostre attività (Cfr. LG, 10). Un’immagine bella di come si debba concepire la collaborazione tra sacerdozio ordinato e sacerdozio comune dei fedeli, ossia tra sacerdoti e laici, è la preghiera di Mosé sul monte, durante la battaglia di Israele con gli amaleciti. Mosé pregava con le braccia alzate e, finché riusciva a mantenere le braccia alzate, gli israeliti vincevano la battaglia. Quando abbassava le braccia per stanchezza, gli israeliti perdevano la battaglia. Allora Aronne e Cur gli si misero a fianco e gli tenevano le braccia alzate perché Giosuè potesse continuare a combattere e sconfiggere gli amaleciti (Es17, 10-13). E, così avvenne. Mosé perseverò nella preghiera per tutto il giorno, e Giosué vinse la battaglia.

Se, ora, vogliamo trarre un insegnamento da questo episodio biblico, vediamo come anzitutto il compito di Mosé non sia stato quello di combattere la battaglia in prima persona. Il suo dovere e la sua missione erano la perseveranza nella preghiera di intercessione. Non doveva e non voleva intervenire direttamente per orientare le sorti della battaglia. Queste erano nelle mani di Giosué. Mosé prega, Aronne e Cur lo aiutano perché lui continui a pregare. Né Mosè prende il ruolo di Giosué. Né Giosué prende il ruolo di Mosè. Essi compiono due azioni diverse ma con un fine unico. Collaborano per raggiungere un obiettivo comune. Questa forma particolare di collaborazione dà significato e motivazioni su come si debbano concepire la corresponsabilità e la collaborazione nelle nostre parrocchie. Nell’esercizio del suo ministero, il sacerdote ha bisogno dell’aiuto dei laici per la missione di annuncio del Vangelo e di presidenza della comunità. Ma né il sacerdote si deve sostituire ai laici, né i laici si devono sostituire ai sacerdoti. L’esperienza ci dice che sono da evitare sia i chierici che si laicizzano sia i laici che si clericalizzano.Sacerdoti e laici devono collaborare, ognuno secondo la sua vocazione e missione.

Il Vangelo che abbiamo proclamato ci riferisce che Gesù torna in Galilea, nella sua città di Nazareth, e vi conduce una vita che possiamo definire da “ebreo praticante”. L’annotazione che Egli andava ogni sabato in sinagoga mette in evidenza che egli osservava le prescrizioni della legge mosaica ed era fedele al culto settimanale. Perciò, Egli agiva come Salvatore e il Redentore non solo quando guariva i malati, risuscitava i morti, riabilitava i peccatori, ma anche quando conduceva la sua vita feriale di “ebreo praticante”. Proprio la sua frequenza della Sinagoga spiega, in certo qual modo, la reazione sdegnata nell’episodio della cacciata dei venditori dal tempio (Mc11, 15-19). Con il suo gesto forte, Egli non solo voleva manifestare indignazione, ma soprattutto compiere un’azione pedagogica per insegnarci a pregare Dio con la vita, perché “è giunto il momento in cui i veri adoratori adorano il Signore in spirito e verità” (Cfr. Gv4, 23). Il suo zelo ci insegna a vivere autenticamente la nostra religiosità e a non trasformarla in una ricerca di consolazioni spirituali. Proviamo a contare le volte che entriamo in chiesa per ringraziare e lodare il Signore, e quelle, invece, in cui vi entriamo per chiedere grazie o il premio per le nostre opere buone. Penso che queste seconde superino le prime. Sappiamo chiedere. Non sappiamo ringraziare. Gesù ci ricorda che dobbiamo saper chiedere e saper ringraziare!

Nel passo di Isaia commentato da Gesù nella Sinagoga c’è un particolare molto interessante. Mentre, nella trasfigurazione sul monte Tabor è Dio Padre che lo proclama suo figlio prediletto e chiede che venga ascoltato (Mt17, 5), qui è Gesù stesso che si proclama il Messia, venuto per inaugurare l’anno di grazia del Signore. Il testo di Isaia considera l’anno di grazia anche come il “giorno di vendetta per il nostro Dio” (Is61, 2). Ma Gesù lascia cadere questo accostamento e si ferma alla proclamazione dell’anno di grazia. Ora, l’evocazione dell’anno di grazia e l’eliminazione del giorno di vendetta assume il carattere d’un richiamo solenne ad essere operatori di misericordia.

Purtroppo, viviamo in un epoca dove abbondano le false testimonianze e le promesse facili. Perciò, siamo diventati diffidenti nei confronti di promesse reclamizzate come un prodotto commerciale. Certo, la fede non è un prodotto commerciale, ma proprio per questo ha bisogno di testimoni veri, credibili. Dobbiamo, perciò, continuamente purificare la nostra testimonianza di vita cristiana e renderla più credibile. Per ottenere ciò, secondo Papa Francesco, tutti “abbiamo bisogno di cambiare la vita”, accostandoci al Signore. Lui, infatti, “ci vuole vicini” e “ci aspetta per perdonarci”. Allo stesso tempo, però – ha precisato Francesco – Dio vuole un “avvicinamento sincero”, e non “cristiani truccati, che quando passa l’apparenza, fanno vedere subito che non sono veri cristiani”. E c’è un segno molto chiaro per capire se si va sulla buona strada o “verso il salone trucchi dell’ipocrisia”: “avere cura del prossimo, del malato, del povero, di quello che ha bisogno, dell’ignorante”.

La missione di Gesù dovrà essere compiuta oggi da una Chiesa “ospedale da campo”, che cura chi soffre, perdona chi pecca, incoraggia chi è debole. Vogliamo essere protagonisti gioiosi di questa Chiesa “in uscita” e compassionevole. Vogliamo contribuire a realizzare la profezia di Gioele: “io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie, i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gioele3, 1).

Cari fratelli e sorelle, non spegniamo all’alba i nostri sogni d’una Chiesa missionaria! Gesù è ancora con noi e ci invita a prendere il largo con Lui. Possiamo e dobbiamo farcela. Gesù è con noi ma ci chiede di essere uniti. Divisi, infatti, non si va da nessuna parte e non si evangelizza! Uniti, e con Gesù, saremo una Chiesa missionaria che porta la gioia del Vangelo a chi cerca Dio con cuore sincero.

Invio ora un cordiale saluto e augurio a Mons. Pier Giuliano Tiddia, nostro arcivescovo emerito e a Mons. Sergio Pintor, vescovo emerito di Ozieri, impossibilitati a intervenire alla nostra celebrazione. Rivolgo un pensiero di comunione ai vescovi originari della nostra Arcidiocesi: Mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alghero-Bosa, Mons. Mario Fiandri, Vicario Apostolico di El Petèn in Guatemala. Formulo i migliori auguri al decano del presbiterio arborense Mons. Michele Marotto, a don Ignazio Cau e don Gianni Maccioni per il 50° di sacerdozio, a don Alejandro Garcia, novello presbitero e ai futuri presbiteri i diaconi Don Emanuele Lecca e don Enrico Porcedda. Un ricordo particolare va a D. Luciano Ibba, parroco a Sicuani in Perù, a don Pier Paolo Murgia, Cappellano Militare presso la Brigata Sassari. Ricordo anche don Antonello Cattide, don Valerio Casula, don Alfredo Lecca, don Michele Sau, residenti fuori Diocesi. Affido alla misericordia del Signore don Salvatore Perra, Mons. Palmerio Massidda, Mons. Vincenzo Murgia, deceduti nel corso dell’anno 2018. Inoltre, chiedo al Signore per i nostri confratelli malati e anziani e per coloro che hanno avuto lutti familiari la grazia di portare la croce della sofferenza nell’adesione alla Sua volontà. Saluto le religiose e i religiosi, i diaconi permanenti, i nostri seminaristi del Seminario Regionale  e Seminario Diocesano, le catechiste e i catechisti, i laici impegnati nei vari organismi diocesani e parrocchiali, nonché i catecumeni, gli infermi, i cresimandi, prossimi beneficiari dell’unzione con gli oli santi ed il crisma che oggi vengono consacrati. Dio benedica la nostra Chiesa Arborense! Amen!