Operatori pastorali: intervista a don Luigi Maria Epicoco

*a cura di Luciana Putzolu
Oristano, 19-21 luglio 2018: tre giornate intense di un corso di aggiornamento proposto dalla Diocesi per operatori pastorali. Un relatore d’eccezione, don Luigi Maria Epicoco, sacerdote dell’arcidiocesi de L’Aquila, scrittore e docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense e all’ISSR Fides et Ratio de L’Aquila.
Il corso ha rappresentato la sintesi mirabile del suo ultimo libro Telemaco non si sbagliava, edizioni San Paolo 2018. Ciò che colpisce di don Luigi è la sua carica, la capacità di attualizzare la Scrittura e leggere l’anima, le ansie e le inquietudini di chi lo ascolta.
A distanza di tempo dal convegno, l’Arborense l’ha raggiunto perché anche le sue parole incoraggino l’azione pastorale del nuovo anno che sta per iniziare…

I giovani. La tua premessa al convegno, don Luigi, è stata spiazzante: non un’analisi antropologica del giovane d’oggi, ma il significato della giovinezza. Non la litania dei problemi del mondo giovanile, ma il senso della giovinezza. Un approccio in controtendenza: lo puoi sintetizzare?

La sintesi è presto fatta: la giovinezza non è un fatto meramente temporale semplicemente legato a un’età della vita. Si è giovani quando ci si aspetta qualcosa . È questa attesa che fa la differenza. E importa poco se di anni ne hai venti o cento, ma sono le tue aspettative rispetto a ciò che vivi che dicono quanto tu sia o no giovane. Cioè è l’atteggiamento che abbiamo nei confronti della vita che ci dice se la nostra vita è una vita viva o una vita da sopravvissuti, come molto spesso capita anche ai nostri ‘giovani ufficiali’.

“I giovani sono lontani dalla chiesa”, ”Non ne hanno più bisogno”, “Nelle loro connessioni non c’è posto per Dio” : sono queste le affermazioni che, spesso, ci scambiamo come operatori pastorali. È questione di prospettive?

È questione di intercettare la sete di felicità che tutti abbiamo dentro. Delle volte la lontananza viene creata da una nostra maniera sbagliata di raccontare la buona novella del vangelo. Si può confondere il Cristianesimo con una mera morale, o con una semplice visione del mondo, o una somma di buoni valori. Ma il Cristianesimo è Qualcuno. È l’incontro con Chi ha il potere di far ardere i cuori, così come capitò ai discepoli di Emmaus. Se non arde il cuore della gente che ci ascolta, e dei giovani soprattutto, forse il problema sta nel fatto che proponiamo idee, regole e valori ma non favoriamo invece un incontro che può cambiare loro la vita. Ma la vera domanda è: noi lo abbiamo incontrato?

Quali sono gli errori che, a livello ecclesiale, pur consapevoli, continuiamo a commettere?

Non credo di avere l’autorevolezza di essere esaustivo, ma mi permetto semplicemente di dire che dovremmo smettere di “intrattenere”, di pensarci solo come coloro che devono inventarsi modi per riempire il tempo dei nostri ragazzi, suggestionarli, divertirli, accattivarseli. Noi non siamo una pro-loco o un gruppo di animazione. Il nostro essere Chiesa dovrebbe offrire esperienze forti e vere che possano davvero provocare la loro libertà. Non dovremmo avere paura di dare loro il Vangelo per ciò che è, senza annacquarlo per paura di perderli.

Quali sono, secondo te, i desideri veri dei giovani d’oggi, su quali valori c’è davvero una buona base su cui costruire?

I desideri dei giovani di oggi sono i desideri dei giovani di sempre. Sognano di essere felici, cioè di poter costruire una vita che abbia il sapore della pienezza. Noi, invece,offriamo loro quasi sempre narrazioni pessimistiche, e visioni apocalittiche sul futuro. Forse,in particolare, oggi essi sognano un “ritorno del padre”, cioè di una figura educativa che simbolicamente li aiuti a dire che esiste un senso atutto , senza paura.

E se il problema fosse, invece, quello di motivare i “motivatori”? Adulti che, dopo aver camminato in una certa direzione, si sono fermati e hanno solo certezze…

Probabilmente è così. Noi possiamo dare agli altri solo ciò che abbiamo ricevuto. L’unico modo di annunciare il Vangelo e proporlo consiste nel lasciarsi raggiungere innanzitutto personalmente da esso. Per cambiare le cose devo mettere mani a me stesso e non al resto del mondo. Dovremmo ripartire dalla nostra conversione. La mia santità è la vera svolta.

In comunità spesso ancorate al passato con giovani, anche preti (!) che, a volte, rispolverano l’antico, quale margine c’è ancora per un’azione pastorale che infonda quello che tu, don Luigi, hai chiamato “nostalgia innominabile”?

Gesù dice che la vera saggezza consiste nel saper trarre dal proprio tesoro cose antiche e cose nuove. Non bisogna avere paura delle cose antiche della nostra tradizione ma recuperarle, promuoverle, renderle ancora più vive, ma bisogna avere anche il coraggio di dire che esse non bastano. Gesù fa sempre cose nuove, e molto spesso lo fa a partire da ciò che c’è da sempre.La “nostalgia” che ho nominato non è nostalgia del passato, ma di ciò che ci sfugge sempre ma che non possiamo smettere di cercare. È una “nostalgia” che porta sempre novità perché viene dallo Spirito. Dobbiamo avere il coraggio di una novità così, che altro non è che assecondare l’opera stessa di Dio.