Mons. Tiddia: una Chiesa che cambia.

Lo stato di salute della Chiesa sarda? È un momento difficile per i molti problemi di questo cambiamento d’epoca, le novità e la riorganizzazione delle diocesi. Le messe sui social? Vanno bene per gli ammalati, ma la Chiesa è essenzialmente una comunità che prega e che si riunisce per celebrare l’Eucarestia. Il Concilio Plenario Sardo dimenticato? Un delitto.

Dalla casa con vista fin dentro il sito archeologico della basilica paleocristiana di San Saturnino a Cagliari, mons. Pier Giuliano Tiddia, decano dei vescovi isolani (46 anni di episcopato), guarda alla Chiesa sarda: i periodici diocesani lo mantengono aggiornato, ma la fonte principale di notizie sono i molti amici (sacerdoti, fucini e laureati cattolici) che lo cercano al telefono.

Novantadue anni appena compiuti non si vedono – risposte sempre pronte, aggiornate con l’Osservatore Romano, Avvenire e L’Unione Sarda – ma si sentono: Mi muovo quasi bene in casa, mi manca la passeggiata quotidiana oggi compensata, ma non è la stessa cosa, da un po’ di fisioterapia, dice nel suo salotto costellato di foto: quella dei genitori e dei suoi incontri con Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco.

Il 16 dicembre dell’anno venturo celebrerà il 70.mo di sacerdozio. La riorganizzazione delle diocesi sarde non lo sorprende, lo preoccupano i tempi e i contraccolpi sulle comunità locali: servirà la convinta collaborazione di tutti: sacerdoti e laici responsabili. Fin dagli anni Settanta – dice – c’era il progetto di ridurre a sei le diocesi: Cagliari e Iglesias; Oristano e Nuoro; Sassari e Tempio Olbia. Affidare a un solo vescovo Oristano e Ales-Terralba significa creare la diocesi più grande della Sardegna per numero di parrocchie e per estensione territoriale. Con una caratteristica di non poco conto: Ales-Terralba ha diversi comuni con più di una parrocchia; la diocesi oristanese tranne il capoluogo aveva e forse ha ancora un solo comune con più di una parrocchia, Cabras. Nuoro e Lanusei, in parte vicine geograficamente, lo diventeranno anche ecclesialmente per l’azione del vescovo. Sono passati i tempi in cui gli ogliastrini per le loro istanze civili ed economiche avevano lo sguardo rivolto a Cagliari.

La riorganizzazione delle diocesi si accompagna ai cambiamenti richiesti dai tempi e dal Papa che invita a cercare nuove strade perché il Vangelo sia annunciato. Anche la parrocchia deve aggiornarsi e rinnovarsi se vuole rispondere agli spostamenti, agli impegni, ai tempi di lavoro dei parrocchiani.

In qualche caso devono cadere i confini – afferma mons. Tiddia – in altri gli ambiti di competenza, il mio parrocchiano deve lasciare il posto al nostro. I carismi del parroco si esercitano unitamente a quelli del laico nell’interesse della comunità. Senza queste assunzioni di corresponsabilità non si va da nessuna parte.

Probabilmente mons. Tiddia è rimasto l’unico vescovo che non si stanca di indicare le potenzialità e l’attualità del Concilio Plenario Sardo: È un delitto volerlo dimenticare. Memoria storica della Conferenza episcopale sarda, l’Arcivescovo emerito di Oristano è una miniera di ricordi. Agli inizi degli anni Novanta rischiò di diventare il numero due della CEI. Il 14 marzo 1991 circolò il mio nome – precisa mons. Tiddia – come possibile segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Ma il card. Camillo Ruini portò in Consiglio permanente un solo nome, quello di mons. Dionigi Tettamanzi da un anno e mezzo vescovo di Ancona. Mi andò bene, perché mi ha risparmiato anni di spostamenti da un capo all’altro d’Italia, un genere di vita che non si può cominciare a fare a 60 anni compiuti.

Tra i suoi lavori per la Chiesa italiana l’Arcivescovo emerito ricorda la riforma del diritto canonico sul matrimonio. Relazionai davanti all’Assemblea generale dei vescovi: le mie proposte furono votate all’unanimità: 196 presenti e altrettanti sì.

A cura di Mario Girau.

Pubblicato su L’Arborense n.30