XXIV Domenica del Tempo Ordinario: l’approfondimento della Parola.

La reazione dispiaciuta nei confronti di colui che ha ricevuto la cancellazione di un grosso debito presenta il tema della cecità causata dall’ingratitudine.

Una vita soffocata da odio e rancore toglie ossigeno anche ai fratelli.

L’itinerario tratteggiato dalla liturgia della Parola offre una chiave di lettura esplicita e chiara: perdonàti, se perdonanti. Concedere il perdono a chi ci ha offeso, a chi ha abusato della nostra fiducia, a chi ci ha oltraggiato è l’unica condizione senza la quale il perdono ricevuto a nostra volta diventa stridulo.

È un ambito in cui si tiene lontano il senso unico del rapporto e si rafforza la profondità dello scambio: a chi ha sarà dato in aggiunta, mentre a chi non ha sarà tolto tutto. Il coraggio del perdono nasce dell’accoglienza del perdono ricevuto. Nel brano evangelico ascoltiamo una parabola spigolosa e dura. La reazione dispiaciuta e addolorata dei servi, nei confronti di colui che pur avendo ricevuto la cancellazione di un grosso debito non ha la capacità di imitare il suo benevolo creditore, presenta il tema della cecità causata dall’ingratitudine.

Come non esiste peggior cieco di chi non vuol vedere, così non si trova persona più ingrata di colui che rifiuta il dono inaspettato di essere amato e perdonato gratuitamente. Dio, primo garante di una fraternità in costruzione, ha donato suo figlio per renderci fratelli. Sappiamo bene quanto la vicenda biblica e l’esperienza umana ci presenti la difficoltà a rifiutare la vendetta e il compromesso.

La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, evidenzia il meccanismo umano che soggiace alla vendetta: chiedere a Dio qualcosa che non si è disposti a condividere coi fratelli. La vendetta, cruenta o meno, è il segno eloquente della più alta ingratitudine verso il dono ricevuto.
La gratuità dell’amore passa attraverso il filtro della disponibilità a farsi permeare dall’amore accolto. Il servo perdonato non riesce a perdonare il suo debitore e lo soffoca. Questo verbo evidenzia il processo di asfissia di una vita a senso unico, impregnata dal desiderio di fruibilità, intessuta di egoismo e aridità.

La seconda lettura, ancora tratta dalla Lettera ai Romani, presenta un orizzonte di senso spalancato: se viviamo, viviamo per Dio e se moriamo, moriamo per lui. Una vita soffocante diviene senza riserve anche una vita soffocata, proprio come quella del servo che non sa perdonare il proprio fratello. Come il servo è divenuto aguzzino del fratello, così un contrappasso esistenziale lo getta in mano ad altri strozzini di esistenza.

Il Siracide offre una profonda radiografia di quel servo e chi a lui si rifà: Rancore e ira sono cose orribili e il peccato le porta in seno. Mentre il salmo responsoriale traccia l’identikit di Dio: perdona, guarisce, salva, circonda di bontà e misericordia, non è in lite, non rimane adirato, non tratta con vendetta e non ripaga male per male. Lo sguardo verso Dio è la chiave di volta per poter accogliere il suo perdono e donarlo a nostra volta. La nostra fede è segnata dalla contemplazione di Dio padre, amante e amato.

A cura di Michele Antonio Corona