II Domenica di Avvento. L’approfondimento della Parola

La venuta del Signore è fulminea non perché ci vorrà trovare impreparati, ma perché porrà in discussione il nostro modo di pesare il tempo

Dio si rivela. Una voce grida nel deserto: preparate la strada.

Giunti alla II domenica di Avvento siamo accecati davanti alla luce sfolgorante emanata dal vangelo che ritrae Giovanni il Battista.  Tra le figure più intriganti del Nuovo Testamento, ci pone interrogativi che coinvolgono la nostra esistenza e la nostra sequela.

La seconda lettera di Pietro ci inonda di un messaggio fortissimo, che ricorda la fedeltà di Dio il quale non dimentica il suo popolo. Sebbene ci siano molti (chissà se tra essi ci siamo anche noi che leggiamo) che lamentano l’assenza di Dio, la sua lentezza nell’agire, la sua apparente distanza dalle nostre richieste, la lettera ci ricorda che la venuta del Signore è fulminea (come un ladro) non perché ci voglia sorprendere e trovare impreparati, ma perché essa è in grado di mettere in discussione il nostro modo di conteggiare e pesare il tempo e le opportunità di vita: un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno.

Il tenore del brano è profondamente escatologico – parla della fine – senza spostare questo tempo troppo lontano. Non è un tempo distante, ma vicinissimo, prossimo, imminente. Infatti, il genere escatologico non vuole presentare la fine del mondo, ma la fine di un mondo, non la fine dei tempi, ma la fine di un tempo in termini moderni, potremmo dire la fine di una stagione ormai conclusa.

Ecco giungere in nostro aiuto il salmo responsoriale che non allontana la salvezza a un tempo futuro, ma promette che essa è vicina, ormai giunta, già realizzata. Il tempo di Dio non è nell’aldilà, nella promessa imperitura e mai realizzata, ma è nella carne del Cristo e dell’uomo. La salvezza si attua nella vita, nella parabola esistenziale, nel percorso di sequela del vangelo nei nostri giorni. Potremmo dire che la gloria abita già la nostra terra, poiché il Figlio ha benedetto la nostra esistenza e rivitalizzato l’esistenza dell’uomo.

Con questo bacino di buona notizia che ci sovrasta e ci da vita, ci ritroviamo alle prese con il confronto tra il testo di Isaia e quello di Marco che la liturgia della Parola pone in parallelo. Evidentemente l’evangelista ha acquisito il testo di Isaia, del DeuteroIsaia, e lo ha rielaborato alla luce radiosa di Gesù Cristo.

Uno sguardo attento nota che la citazione profetica è riportata dal vangelo in modo differente rispetto al testo di origine, con le dovute attestazioni del testo masoretico e dell’edizione critica del Nuovo Testamento. Nel profeta, narratore delle attese del popolo ebraico durante il periodo dell’esilio babilonese, la voce grida: nel deserto preparate la via.

Si tratta probabilmente della costruzione o creazione idilliaca di un sentiero che attraversi il deserto per congiungere Babilonia con la Terra promessa. Una sorte di filo diretto voluto e favorito da Dio per realizzare la benedizione di una terra. Le operazioni di ingegneria edile sono volte alla costruzione di questa importante via sacra, che percorreva il deserto.

La presenza edificante di Giovanni Battista obbliga Marco, e gli altri sinottici, a modificare la punteggiatura e collocare la voce in un luogo specifico: Una voce grida nel deserto: Preparate la via. Un piccolo esempio dell’incarnazione delle Scritture alla luce del Cristo.

A noi comprendere oggi quale sia il deserto in cui sentire la voce e preparare la strada: luogo di solitudine o di intimità?

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense 42/2020