Solennità dell’Epifania del Signore. L’approfondimento della Parola

Alla luce della stella un regalo macabro

Cosa direste se per la nascita del vostro primo (secondo, terzo, quarto …) adorato figlio o figlia una persona importante, e sconosciuta, vi portasse in dono una piccola bara? Credo che nel migliore dei casi sobbalzareste. Si potrebbe compiere qualche gesto apotropaico. Qualcuno potrebbe avere certamente una reazione sdegnata e magari violenta.

Quei magoi, che vennero dall’oriente, portarono al bambino mirra, oltre a oro e incenso. La mirra serviva principalmente per ungere il corpo dei morti prima della sepoltura. È come dire al bambino: ora che sei nato, ti dono qualcosa per la tua morte. Certo, chiunque nasce deve morire, ma glielo si può ricordare anche con garbo e non certo nei primi mesi di vita. Potremmo dire: morirò certamente, ma non ho fretta di farlo.

Eppure in quel dono “macabro” potrebbe essere racchiusa la chiave di volta dell’intero senso dei racconti dell’infanzia narrati da Matteo. L’evangelista non ha alcuna intenzione di creare una biografia di Gesù, ancor meno mettersi in antagonismo al racconto di Luca o dei vangeli apocrifi (ad esempio quello di Giacomo, dal quale abbiamo attinto tanti particolare che trasmettiamo nella tradizione popolare).

Matteo non è un biografo, ma un evangelizzatore. Il suo compito è trasmettere la Buona notizia racchiusa proprio nel dono macabro della mirra. I lettori del suo vangelo e gli ascoltatori del Buon annuncio non possono perdere di vista che il nucleo centrale della fede in Gesù Cristo è il mistero di salvezza in cui deve essere letta la sua morte e risurrezione, racchiusa in quella mirra.

Matteo sembra dirci che non ha intenzione di ingannarci in alcun modo e che la sepoltura di Gesù – momento di unione tra il Golgota e il giardino della Pasqua – è il momento fondamentale per la sequela del discepolo.

Quella mirra è per il bambino Gesù, ma soprattutto per chi si incammina dietro al Maestro di Nazareth, al nuovo Mosè. Non si va verso la Pasqua senza la coscienziosa convinzione del passaggio fondamentale della morte.

In questo anno liturgico Marco ce lo ripeterà tre volte: il Figlio dell’uomo deve essere tradito, angariato dagli anziani e morire prima di risorgere.  La morte, che lo vogliamo o no, è tra i momenti decisivi della nostra esistenza.

Non stiamo facendo l’elogio della morte, ma della luce che illumina la vita e anche quel momento. Matteo racconta di una stella che illumina e guida il cammino dei magoi. Questi astronomi pagani sono intrisi di curiosità e di meraviglia davanti a una luce che si muove e che li muove.

L’intera liturgia dell’Epifania narra e ci invita a guardare la stella, non per scoprirne la posizione o la congiuntura astrale, bensì per entrare dentro la dinamica del comunicare di Dio. Non smette di parlare e di convocare l’uomo attraverso Gesù Cristo. Non conosciamo il mistero di Dio? Paolo dice agli efesini che per rivelazione gli è stato fatto conoscere il mistero. Anche a noi attraverso Gesù Cristo.

La prima lettura ci fa scorgere la luce nuova della stella e il suo brillare che risplende nella nostra vita, anche al momento della tanto temuta morte.

A cura di Michele Antonio Corona