VI Domenica del Tempo Ordinario: l’approfondimento della Parola

La malattia non allontana da Dio, prepara la purificazione

La lebbra presupponeva l’esclusione netta dalla vita sociale, religiosa e comunitaria. Chi ne era affetto doveva allontanarsi, rinchiudersi in ghetti appositi, segnalava la propria presenza per essere scacciato o evitato. Ecco perché la malattia era maledizione.

Chi poteva dire bene di una persona a tal punto rigettata e sfortunata? Oltre ai concittadini, sembrava che per primo Dio se la fosse presa col malato. Il vangelo narra di una purificazione, che va molto al di là della semplice guarigione. Non solo una purificazione equivalente a un lavaggio esterno dalle pustole o dalle squame, ma una riabilitazione totale poiché ripulito in profondità. Gesù vuole purificarlo e inserirlo nuovamente nella benedizione di Dio davanti ai fratelli.

Ciò che nell’Antico Testamento era affidato ad Aronne e ai sacerdoti, un’analisi della malattia, Gesù lo fa in modo sublime non limitandosi a una visita, bensì a un gesto d’amore sovrabbondante. Ne ebbe compassione, ovvero si commosse in profondità o le sue viscere fremettero. Questa è l’espressione usata in AT riferita a Dio. Il grido della prima lettura Impuro! Impuro! che doveva riferirsi al lebbroso, diviene Amato! Amato! Gesù ama fino in fondo quest’uomo che lo ha invocato e che gli ha posto la questione fatidica: Se vuoi, puoi…

Gesù non esita e dice che vuole. Vuole talmente purificarlo che subito la lebbra lo lascia. Il Salmo cristallizza questo passaggio ponendo in bocca a colui che invoca: Ho detto Confesserò al Signore le mie iniquità e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. Di fronte a questo profondo amore (alcuni manoscritti sostituiscono ne fu adirato a ne ebbe compassione), si trova la durezza dell’imposizione sul silenzio riguardo ciò che è avvenuto. È più probabile che Gesù non voglia si dica chi è, dal momento che il lebbroso si è prostrato come davanti a Dio.

Solo chi fa esperienza diretta di Gesù può sapere chi è e può annunciarlo. Non si può credere in Gesù per i soli miracoli o per la sola testimonianza. Si giunge a Gesù per testimonianza, ma gli si affida la propria vita poiché lo si è incontrato. È l’amore sperimentato che determina la sequela, che ne dà il sapore, che ne trasmette il carattere di intimità. Paolo sottolinea la grande importanza di non dividere la vita, come nella seconda lettura di domenica scorsa, in ambiti differenti e contrapposti: tutto fate per Dio.

Niente si può fare che a lui non interessi, che non lo coinvolga, che non richiami la sua cura paterna per noi. Quindi, uno spunto di riflessione attualizzante potrebbe essere la considerazione su: Cosa teniamo fuori dallo sguardo del Signore? Cosa non gli proponiamo sia purificato? E, infine, cosa e chi consideriamo impuro e non degno di essere toccato e guarito? Spesso, è più facile ghettizzare che includere, cacciare che accogliere. Cerchiamo compagni di viaggio che ci sappiano mostrare il volto di Cristo, per poterlo incontrare personalmente.

A cura di Michele Antonio Corona