Sant’Archelao visto attraverso i Gosos

S'agatat su corpu santu

O martire di Dio, discepolo fedele tu splendi come fiaccola nella Chiesa di Dio. Salutiamo con le parole della Liturgia delle Ore la festa liturgica di Sant’Archelao, sacerdote e martire, Patrono dell’arcidiocesi di Oristano, che celebriamo il 13 febbraio (Messe Proprie delle Diocesi di Sardegna).

Nei gosos anche i nostri padri lo chiamavano martire: Non podeus tantu amai Gesus nostu Sarbadori sias nostu intercessori santu martiri Acrillai (torrada dei gosos raccolti in Goccius de Santus di don Josto Murgia). Come sappiamo dalla storia e dalla tradizione cristiana, ogni Chiesa locale legittima la propria esistenza ricercando le radici nel martirio di un testimone della fede, possibilmente indigeno.

Nel 1615, nel periodo in cui il Capo di Cagliari e quello di Sassari si contendevano il titolo di Primate di Sardegna e Corsica, Antonio Canopolo, arcivescovo di Oristano, fece iniziare una campagna di scavi a Fordongianus presso la chiesa di San Lussorio. Qui, stando a quanto ci dice il canonico Salvatore Angelo Scintu in Memorie Arborensi, nel giorno 5 di febbraio 1615 si trovò la veneranda sepoltura, coperta di una lastra di marmo coll’iscrizione: Hich jacet Beatus Martir Archelaus Presbiter obit quarto Kal. septembris anno 100.

Insieme a questa, il teologo arborense ci parla delle reliquie: Aperta la sepoltura, vi si trovarono le ossa ben collocate, locché convinse non esser quella la prima sepoltura ma quella in cui quelle reliquie furono traslate per salvarlo dalla profanazione dei Saraceni. Le ossa del cranio erano come sono riunite con una tela attaccata dentro, donde si rileva che la testa deve essere stata fracassata nel martirio, e dentro il cranio, così riunito raccolte alcune pietre che ancora tengono color di sangue; e da ciò si viene in cognizione essere le pietre conservate per attestare ai posteri il supplizio che estinse la preziosa vita dell’illustre martire di Gesù Cristo.

Alla loro inventio fa riferimento la strofa 11 dei gosos: Po divina ispirazioni s’agatat su corpus santu e cun gosu e cun cantu ti portant in processioni e cun tanta divozioni ti donat sa genti onori. Cosa sappiamo della biografia di Sant’Archelao? Non abbiamo notizie certe. Facciamo ricorso a quanto ci racconta la tradizione nei gosos: Fillu de nobili genti in Sardigna bis sa luxi a sa fidi de sa gruxi e cunsegras prontamenti a Gesus coru e menti predichendi cun fervori (strofa 1). Archelao, dunque è sardo ed appartiene a una famiglia di nobile lignaggio. La tradizione ci dice anche che essendi obisbu de sa cittadi de Casteddu unu certu Melitoni, Archillai si fiat cunvertiu a sa lej cristiana (Josto Murgia, Goccius de Santus, p. 57).

L’autore di questi gosos ci descrive Archelao infiammato di zelo per l‘annuncio del vangelo, cui consacra la propria vita: Essendi beni fundau in santidadi e dottrina po volutadi divina sacerdotu cunsagrau ti ses totu dedicau a salvai su peccadori (strofa 3).

Dove svolge la missione di predicatore il nostro patrono?

Ci risponde sempre don Josto Murgia: imbiau in sa zona de Aristanis po predicai su vangeliu. E doveva riuscire molto bene nella predicazione se nella strofa 4 leggiamo: tui cunvertis meda genti chi sighiat zurpamenti s’idolatricu errori. In quei tempi i cristiani non erano ben visti, e coloro che allontanavano i cittadini dalla religione di stato ancora di meno.

L’attività di Archelao non passa dunque inosservata alle autorità: Hat iscipiu su tiranu de su levita zelanti: donat s’ordini a s’sitanti chi s’arrestit che cristianu e chi siat in Fordongianu trattau mali e cun rigori (strofa 5). In quella località troverà il martirio per lapidazione come ci indicano i gosos nella strofa 9: foras ses de Fordongianu cun furori apperdiau arriccis ingenugau su trumentu cun valori.

Passeranno molti secoli da quel momento fino alla scoperta delle sue spoglie, tanto che nei gosos leggiamo: de su corpus sa memoria scarescit prestu sa genti (strofa 10). Ma le genti dell’Arborea si faranno perdonare questa lunga dimenticanza quando: De Aristanis in catedrali est su corpus trasportau e de sa Sea ses onorau che patronu principali (strofa 12).

A cura di Giovanni Licheri

Pubblicato su L’Arborense N.5/2021