IV Domenica di Pasqua. L’approfondimento della Parola

Il cuore e la voce del pastore orientano e guidano il gregge

Il vangelo ci pone davanti a una scena molto familiare: un pastore si fa aiutare nella cura e custodia del gregge da un salariato.

I due hanno atteggiamenti, interessi e sentimenti differenti davanti alle pecore. Il primo sa che sono esse a dargli da vivere, il loro benessere è la sua fortuna, la loro salute il suo futuro. Il salariato, invece, sa che il suo vivere dipende dal padrone e dalla decisione di tenerlo a lavorare. Così, il primo tiene a cuore le pecore, mentre il secondo è attento a non perdere il favore del padrone.

In questo senso possiamo chiamare il dipendente un mercenario, cioè uno che si occupa del lavoro solo per il soldo, per la ricompensa, per ciò che ottiene. Per questo, l’arrivo del lupo svela cosa i due abbiano nell’animo e per cosa si occupano del gregge. Proprio l’arrivo del lupo permette di distinguere il buon pastore dal mercenario.

Già Ezechiele (34,1-10) aveva ben delineato la figura di pastori e approfittatori, di autorità dedite al gregge e prezzolati fantocci assetati di tornaconto. Davanti al buon pastore, che dà la vita, si pone la domanda esistenziale per ogni credente, e non solo per le guide. La Giornata per le vocazioni, che quest’anno trova in Giuseppe il modello, interroga tutti sul modo di vivere la propria vocazione per il Regno di pastori o mercenari. Davanti ai tanti lupi che cercano di dilaniare chi ci è affidato, qual è il nostro atteggiamento: dare la vita o fuggire? Non sono possibili magheggi, scorciatoie, scuse. L’unico metro di misura per identificare il buon pastore è la capacità di dare la propria vita per il gregge davanti al lupo.

Gesù lo ha mostrato con la croce. Noi? Con tante e forbite motivazioni cerchiamo di giustificare ogni nostra riserva a dare la vita per i figli, per il coniuge, per la comunità parrocchiale, per gli studenti, per i poveri che bussano alle nostre porte, per i giovani che ci chiedono una mano nel cammino di discernimento o per coloro che ci evitano.

Nella prima lettura Pietro richiama, sulla scia del salmo, un’immagine edilizia: un gruppo di muratori scarta una pietra, che tuttavia è la più adatta per reggere l’intera costruzione. Chi scarta non capisce e non conosce, ma Dio sa cosa è indispensabile all’edificazione del suo progetto. Questo Gesù è la pietra!  A noi riconoscere Gesù nelle nostre comunità ancora oggi per evitare di scartare proprio la pietra scelta da Dio. Quel Gesù che è stato rifiutato e messo a morte Dio lo ha risuscitato.

La capacità di allenare lo sguardo a scorgere l’opera di Dio che capovolge le logiche degli uomini e conduce la storia di salvezza in modo unico e singolare dovrebbe essere il frutto dell’annuncio pasquale. Inoltre, dare la vita senza ricatti, sensi di colpa, compravendite o vittimismi è il segno inconfondibile del battezzato, che è stato immerso nella morte e risurrezione del buon pastore.

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n.14/2021