Liturgia. La solennità dell’Ascensione

Una festa che ci aiuta a riconoscerLo in mezzo a noi

Ci avviamo alla conclusione del tempo di Pasqua, e lo facciamo con due feste memoriali assai significative e ricche: l’Ascensione di Gesù in cielo e la Pentecoste.

Con l’Ascensione, il popolo di Dio è chiamato a far memoria della conclusione dell’esperienza storica di Gesù che con il suo corpo risorto conclude i suoi giorni alla presenza degli apostoli, e torna nella casa del Padre suo, per non comparire più sulla Terra fino alla sua seconda venuta (nella parusìa) per il Giudizio finale.

Questa festività è molto antica: viene attestata già a partire dal IV secolo. Tutte le Chiese celebrano l’Ascensione 40 giorni dopo la Pasqua, cioè il giovedì della VI settimana del Tempo pasquale. Nel Credo detto degli Apostoli questa memoria è ricordata solennemente con queste parole: è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.

Nella Chiesa ortodossa l’Ascensione è una delle dodici grandi feste: è conosciuta sia come Analepsis (che in greco significa salire su) sia come Episozomene (cioè salvezza). Quest’ultimo termine sottolinea che Gesù, salendo in cielo, ha portato a compimento l’opera di salvezza e redenzione per la quale era disceso. Gli Atti degli apostoli, nominano esplicitamente il Monte degli ulivi, poiché dopo l’Ascensione i discepoli ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato. La tradizione ha consacrato questo luogo come il Monte dell’Ascensione.

Ma cosa significa, nel senso biblico, il termine Ascensione? Secondo la visione biblica Dio abita in cielo (o in un luogo superiore) e l’uomo, per incontrarlo, deve elevarsi, salire. L’idea dell’avvicinamento con Dio geograficamente è data dal salire sul monte (es. in Esodo (19,3) a Mosè viene proibito di salire sul monte Sinai). Ciò significa, soprattutto, la difficoltà per l’uomo di entrare in comunione col totalmente Altro: Delimita il monte tutt’intorno e dì al popolo; non salite sul monte e non toccate le falde. Chiunque toccherà le falde sarà messo a morte. Il comando di Jhawe non si riferisce tanto alla salita locale, ma a un avvicinamento spirituale; bisogna prima purificarsi e raccogliersi per poter udire la sua voce.

Non solo Dio abita in alto, ma ha scelto i luoghi elevati per stabilirvi la sua dimora; bisogna sempre salire… elevarsi da terra. Così lungo tutta la Bibbia, i riferimenti al salire sono tanti e continui e quando Gerusalemme prende il posto degli antichi santuari, le folle dei pellegrini salgono festose il monte santo. Ascendere a Gerusalemme, significava andare al Tempio, e il termine, obbligato dalla reale posizione geografica, veniva usato sia dalla simbologia popolare per chi entrava nella terra promessa, come per chi saliva alla città santa.

Anche Gesù sale a Gerusalemme con i genitori, quando incontra i dottori della Legge, e ancora sale alla città santa nel giorno delle Palme: tutte queste ascensioni sono un preludio alle ultime due grandi ascensioni: quella sulla Croce (quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me) e quella dal Monte degli ulivi (quando si staccò da terra per ascendere al Padre suo). Liturgicamente siamo chiamati a far memoria non tanto della scomparsa di Gesù, del suo rientro nel regno del Padre suo, quanto del fatto che il Risorto, completata la sua opera, è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo.

A cura di Tonino Zedda

Pubblicato su L’Arborense n. 17/2021


Nell’immagine: i frati e le suore francescani pregano durante una messa per la Festa dell’Ascensione sulla Roccia dell’Ascensione nella Cappella dell’Ascensione a Gerusalemme il 20 maggio 2020. La Festa dell’Ascensione commemora la credenza cristiana dell’Ascensione corporea di Gesù in Paradiso. Foto di Olivier Fitoussi / Flash90