Anno Speciale di san Giuseppe: una riflessione sulla comunità domestica

Per favorire la conoscenza e l’interiorizzazione personale e comunitaria dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, papa Francesco ha indetto un anno dedicato allo studio e alla riflessione di questo documento. Con l’Amoris Laetitia, dopo i due sinodi sulla famiglia, papa Francesco ha voluto tracciare una via regale perché la famiglia ritrovi se stessa. Un percorso partito il 19 marzo, festa di San Giuseppe, e che si colloca proprio all’interno dell’anno speciale a lui dedicato.

Il modello della famiglia di Nazareth

Il racconto evangelico ci presenta il modello della famiglia di Nazareth, in cui la figura di Maria è molto illustrata; di Giuseppe, invece, si dice poco. Tuttavia, non c’è dubbio che la figura di San Giuseppe sia importante per la sua unicità nella Bibbia. Il nome Giuseppe significa Dio aumenta, abbonda o trabocca e prende il significato dall’operare di Dio nella vita di Giuseppe, uomo che si caratterizza per il suo silenzio. Nella sua vita, giorno dopo giorno, aumenta l’azione di Dio che gli ha affidato suo Figlio Gesù e sua madre Maria. Contemplando il modello della famiglia di Nazareth, ci lasciamo istruire dal modo in cui Maria e Giuseppe hanno vissuto il loro ruolo di madre e padre di famiglia. Ebbene, dei pochi eventi narrati del rapporto genitoriale di Maria e di Giuseppe con Gesù si resta sempre un po’ sorpresi. Non vi si trova la dolcezza e la poesia che il culto mariano ha contribuito a diffondere nella pietà popolare, ma vi si individua una vera e propria storia tra una madre e un figlio, fatta anche di fatiche, di incomprensioni e segnata esattamente da quella componente psicologica tanto importante che è la conflittualità, che non sempre è negativa, ma che anzi è la condizione necessaria perché i piccoli trovino la loro strada verso l’età adulta. Portiamoci allora davanti a una scena ricca di significati educativi, oltre che teologici e spirituali: il ritrovamento di Gesù dodicenne nel Tempio.

Contrasti apparenti tra genitori e figli

L’episodio è riferito da Luca (2, 41-52). Maria e Giuseppe, dopo tante ricerche nella città santa, finalmente trovano Gesù nel tempio in mezzo ai dottori. Angosciati ti cercavamo lo apostrofa Maria. La risposta di Gesù è sorprendente: Non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio? Né Maria, né Giuseppe capiscono le parole del figlio e il loro è un silenzio che crea spazio per la crescita di Gesù in sapienza, età e grazia. In questo testo si concentra molta tensione, una tensione feconda: da una parte i genitori che intendono inserire il figlio in una tradizione culturale e religiosa, dall’altra un figlio che deve distaccarsi dai propri genitori, per trovare la propria strada e rispondere alla sua vocazione. Per questo, quel silenzio è quanto mai prezioso: dischiude lo spazio perché il figlio cerchi la sua strada. Vi sono ruoli e compiti flessibili ma la presenza chiara e ben definita delle due figure, femminile e maschile, scrive Papa Francesco, crea l’ambiente più adatto nella maturazione del bambino (AL 175). Non sempre i genitori capiscono che ogni figlio è davvero qualcosa di nuovo sulla terra. Come non fare mente locale ai genitori che, alla prima ecografia del nascituro, cercano di rintracciare impossibili somiglianze. No. Quell’esserino è unico. Si tratta di capire che educare è innanzitutto una tensione tra la trasmissione di una tradizione e il riconoscimento della novità. Quello tra genitori e figli è un rapporto quanto mai sfidante e decisivo. Persino conflittuale. Freud asseriva che essere genitore è una condizione semplicemente impossibile, perché, all’interno di un rapporto di dipendenza il genitore deve favorire un processo di autonomia. Si tratta della nascita di un essere nuovo. Un genitore in qualche misura può non capire la novità che il figlio porta in sé, ma a lui compete accompagnare con coraggio e con amore questo lento processo di scoperta di sé del figlio.

Attenzione Fiduciosa verso i figli

Una seconda scena evangelica, a partire dalla quale appropriarsi del modello educativo della famiglia di Nazareth, è quella riferita dall’evangelista Giovanni (2,1-11). Le parole che Madre e Figlio si scambiano, anche in questo caso, pesano tanto. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù risponde: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La madre dice ai servi: Fate quello che vi dirà. È una scena potente: una madre che incoraggia il figlio a prendere posizione sul mondo, dentro la storia. Un genitore sufficientemente competente deve saper innescare tale moto di libertà nel proprio figlio. In questo testo si possono sottolineare due comportamenti genitoriali essenziali: il primo è la fiducia che Maria nutre nei confronti di Gesù. Oggi i genitori fanno fatica a dare fiducia ai figli. Se non vuole indebolire la personalità del figlio, un genitore deve saper contenere la propria ansia di controllo. Certo non è facile, anche per Maria non lo è stato probabilmente. Si trova davanti a un figlio che sceglie la sua strada con uno stile in cui parla del mistero di Dio e degli uomini in un modo mai udito prima; il primo gesto di ogni genitore, come fece Maria, deve essere un gesto di fiducia. Il secondo comportamento è la determinazione di Maria nel dare l’avvio ai miracoli di Gesù. La storia umana ha sempre bisogno dei miracoli dei figli: i problemi climatici e ambientali, i conflitti ideologici e religiosi, i sistemi economici sempre sull’orlo del collasso e le democrazie fragili richiedono l’impeto innovativo delle nuove energie dei nostri figli. Questo significa avere il coraggio di cambiare, soprattutto di cambiare il modo di vedere il mondo. È raro che questo avvenga senza opposizione polare. Maria insegna. Giovanni nell’episodio di Cana sembra anticipare la sequela di Maria dietro Gesù, come si vedrà in modo più esplicito nella scena della passione.

Il figlio: un’identità diversa dal sé genitoriale

Si legge in Marco 3,31-35 che Maria con altri familiari accorrono dove la folla si accalca attorno a Gesù per andare a prenderlo, perché lo giudicano fuori di sé. La situazione è tesa ed emblematica. Conflittuale. A chi lo informa che i fratelli e le sorelle e la madre sono fuori e lo cercano, Gesù risponde: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre. Notiamo la posizione enfatica della parola madre che apre e chiude la risposta di Gesù. Gesù, ormai adulto, assume lo stesso atteggiamento del Gesù dodicenne: la sua vita è fare la volontà del Padre. I vincoli familiari sono superati. Maria non comprende, ma ecco che nei racconti della passione di Giovanni troviamo Maria nel numero delle discepole di Gesù. Maria non è più tra chi sta fuori e vuol condurre il figlio a casa, ha fatto il percorso inverso ed è entrata dentro il mistero del Figlio. Ecco il punto significativamente più alto di questo modello educativo: Maria lascia che Gesù sia sé stesso, che sia lui a decidere chi è Gesù e diventa discepola del proprio Figlio. Ciò vale per ogni genitore che dapprima deve accettare l’originalità assoluta del proprio figlio e poi sarà chiamato a diventarne discepolo: figlio del figlio, ossia capace di riconoscerne l’identità e di seguirlo nella sua nuova invenzione del mondo, della sua impresa da adulto in questa storia umana.

Pagina a cura di Suor Nolly Jose Kunnath FSG

Pubblicato su L’Arborense n. 19/2021