La Sardegna verso Assisi: la testimonianza di fra Nicolò da San Vero Milis

Il pellegrinaggio ad Assisi, che le Chiese di Sardegna compiranno a ottobre 2021, per portare l’olio che servirà a tenere sempre accesa la lampada posta dinanzi alla tomba di San Francesco, offre spunti di spiritualità per mettere in luce la bellezza della santità francescana nella Chiesa sarda.

Quattro testimoni sono nati nell’arcidiocesi di Oristano e, seguendo l’esempio di Francesco, sono in parte in cammino verso la gloria degli altari e in parte già giunti ai vertici della santità. Partendo in ordine cronologico, si staglia nel 1600 la figura del Servo di Dio fra Nicolò da San Vero Milis (1631-1707); segue, nel secolo appresso, Sant’Ignazio da Laconi (1701-1781), e poi, sul finire del XIX e la prima metà del XX secolo, il beato fra Nicola da Gesturi (1882-1958) e il Servo di Dio, Mons. Giovanni Sotgiu (1883-1930), originario di Norbello.

I primi tre sono frati laici cappuccini e il quarto appartiene all’ordine dei frati minori conventuali. Una santità che nasce in terra arborense per fiorire e giungere poi alla piena e fruttuosa maturazione per i tre cappuccini nella città di Cagliari mentre per Mons. Sotgiu nella lontana Cina.

In questo primo contributo soffermeremo la nostra attenzione sul servo di Dio Fra Nicolò.

Chi era fra Nicolò? La risposta dei suoi contemporanei è inequivocabile: Un uomo fatto preghiera. Così sarà percepito dai suoi confratelli e da quanti lo vedevano ogni giorno operare a Cagliari durante i suoi 56 anni di professione religiosa, a partire dalla seconda metà del XVII sino ai primi anni del XVIII secolo. Nel Capoluogo giunse nel 1651 proveniente dal convento di Oristano. Appena ventenne, fu accolto come postulante nel convento di San Benedetto, lasciandosi plasmare dalla grazia in una vita tutta dedicata a Dio e intessuta di servizio e amore verso il prossimo.

Lo vediamo accanto agli appestati, quando la peste barocca, nel 1652, giunse a Cagliari, proveniente da Alghero, mietendo sino a 200 vittime al giorno, tra le quali lo stesso arcivescovo De la Cabra (1655). Fra Nicolò è accanto ai malati, li conforta e li sostiene nel momento del dolore e della morte. E sarà con la città tutta anche il giorno della festa e del ringraziamento quando, finalmente sconfitto il morbo per intercessione di Sant’Efisio, parteciperà al primo pellegrinaggio sino a Nora per sciogliere il voto al martire intercessore. E i piedi di fra Nicolò proseguiranno il cammino, ogni giorno, lungo le strade di Cagliari bussando alle porte e ai cuori delle famiglie che potevano disporre di viveri per le necessità del convento e dei poveri che bussavano per chiedere aiuto specie durante la terribile carestia del 1680-1681.

Il suo sarà un continuo chiedere per ridare, parlare poco e ascoltare molto, consolare e pacificare anime e cuori, invitare e indicare che si è tutti quaggiù in cammino verso il cielo. E il Signore, attraverso la sua umile persone, elargisce miracoli: guarisce le anime dei peccatori e pure i corpi dei malati. I prodigi non si contano, di ogni tipo, resurrezioni comprese. Innumerevoli le testimonianze scritte a riguardo. Il popolo lo cerca, lo stimano persino i musulmani presenti in città, gli baciano le mani perché è un giusto. La sua vita è un invito alla conversione. Le sue poche parole giungono in profondità e scuotono persino i cuori più duri.

Muore a questa vita l’8 gennaio 1707, circondato dai suoi confratelli in pianto. Tutti hanno visto come vive e muore un santo. I suoi funerali sono un trionfo di popolo. La sua fama non si arresta e, appena 14 anni dopo (1721), a quella porta del convento busserà un certo Vincenzo Peis da Laconi, che ne raccoglierà appieno il testimone.

La parrocchiale di San Vero Milis nel 2020 gli ha dedicato l’ingresso sinistro della facciata della chiesa con una porta che lo ritrae vestito col suo abito e il rosario in mano. Ogni anno nel giorno del pio transito lo ricorda con una solenne celebrazione presieduta dai padri cappuccini mentre si resta in attesa, non appena cesserà la pandemia, che l’Arcivescovo Roberto inauguri la Via Sanctorum arborense perché la sua luce splenda anche qui sulla terra come in cielo.

A cura di Ignazio Serra

delegato regionale per la Pastorale del Turismo

(pubblicato su L’Arborense n. 20 del 2021)