XIV Domenica del Tempo Ordinario. L’approfondimento della Parola

La parola profetica purifica il presente, sanifica la vita e apre il cuore

Di fronte al profeta, la prima reazione è porsi la domanda sulla sua attendibilità o meno. Non è facile credere al profeta e ancor più difficile risulta fidarsi della sua parola. Non di rado si confonde il carattere profetico con la preveggenza, cioè con la capacità di prevedere gli eventi. Il profeta non è tale perché sa il futuro, ma perché riesce a comprendere e interpretare il presente.

Non è roba da poco, se si pensa a quante persone, e quante volte noi stessi, non siamo capaci di capire la nostra vita, il nostro mondo, le persone che ci circondano. Il profeta comprende tutto il proprio vissuto a partire dalla voce di Dio. In altre parole, è profeta chi riesce a scorgere la luce di Dio nel buio del proprio quotidiano. Il profeta non pretende ci si fidi di lui, ma offre una parola che supera, che richiama, che trascende. Fidarsi della Parola di Dio a cui dare credito con tutta l’esistenza.

Questa è la cifra della parola rivolta a Ezechiele nella prima lettura e delle affermazioni di Paolo nella lettera ai Corinti. Il messaggero di Dio, tuttavia, a differenza del detto, porta pena. Non può essere un semplice strumento, freddo, distaccato dal messaggio che veicola, poiché la Parola abita prima di tutto lui. Messaggero e messaggio si conclamano, si compenetrano, si evocano a vicenda. Così la persona del profeta subisce direttamente la forza dirompente della Parola e la frequentissima avversione ad essa degli uditori. Come la Parola è rifiutata, ritenuta non credibile, così il profeta. Ecco, dunque, il simbolo del profeta: deve vivere e dire, deve essere e parlare, deve accogliere e donare.

Pertanto, possiamo capire meglio il travaglio della pagina evangelica e di Gesù stesso, unico e definitivo profeta del Padre. Non un semplice profeta o uno tra i profeti, ma la Parola fatta carne davanti al quale si può scegliere di credere o vivere di incredulità. Di fronte alla Parola viva, che ha il volto del Figlio, si svela il cuore di ogni uomo e donna, che entra a contatto con la luce più viva per comprendere il proprio presente.

Cerchiamo spesso santoni che ci dicano il futuro e desideriamo avere chiavi di lettura sicure e chiare per guardare al domani; invece il Figlio ci ha manifestato il modo per leggere il presente: attraverso la relazione col Padre. I concittadini di Gesù lo vogliono ridimensionare inserendolo in famiglia e nella sua cerchia di parenti. Citano il mestiere del padre e lo fanno volare basso attraverso la conoscenza (insinuante) di un casato ben noto. È come dire: ma chi credi di essere? Ti conosciamo bene e non hai i numeri per ergerti come maestro.

Tuttavia, Gesù si stupisce della loro incredulità, cioè della incapacità a guardare oltre, a lasciarsi stupire, a ringraziare per il dono della sua presenza. Mi pare non sia solo un problema di nazaretiani, ma è ancora la dinamica che ci coinvolge in prima persona. Quanto spesso anche noi tacitiamo qualcuno dicendo: ma cosa credi di insegnarmi? Ma chi sei tu per dire questo?  E non di rado livelliamo tutto affermando che nessuno può scagliare la pietra sull’altro. Così silenziamo la Parola, annulliamo la grazia dell’intervento di Dio, soffochiamo le tante voci profetiche che ci circondano. Paolo, saggiamente, afferma che proprio nel momento della debolezza accolta e manifestata, si attua la parola della forza.

a cura di Antonio Michele Corona

pubblicato su L’Arborense n. 24