Omelia per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce

Oristano, Chiesa di S. Francesco, 14 settembre 2018
14-09-2018

Cari fratelli e sorelle,

il titolo liturgico della festa odierna è propriamente: “Esaltazione della Santa Croce”. La prima domanda che ci poniamo, allora, è se abbia un senso parlare di esaltazione della croce, cioè d’uno strumento crudelissimo di morte infame. Per un verso, la Scrittura parla della croce come luogo di morte riservato a chi è  maledetto da Dio e dagli uomini (Gal 3, 13: “maledetto chi è appeso al legno.” Cfr. Dt 21, 23). Inoltre, nella storia umana tanti uomini sono stati crocifissi, uccisi con violenza inaudita, perché giudicati pericolosi per la società da parte del potere religioso e politico. Si pensi alla crocifissione inflitta agli schiavi dell’antichità, alla tortura nelle carceri delle diverse comunità politiche rette da ideologie e tiranni.

Per un altro verso, i Vangeli ci riferiscono che lo stesso Gesù parla della croce come d’una “necessità” per il compimento della sua missione di Redentore degli uomini. San Marco scrive che Egli cominciò a insegnare ai suoi discepoli “che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (Mc 8, 31). San Giovanni considera la passione di Gesù come evento di gloria, la crocifissione come intronizzazione del Messia: egli è “il re dei Giudei” (Gv 19,19). Nel suo colloquio notturno con Nicodemo, Gesù disse che, come nel deserto era stato innalzato da Mosè un segno di salvezza per Israele (cfr. Nm 21,4-9), così sarebbe stato innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque guardasse a lui con fede e invocazione potesse trovare la vita. Infine, alla folla giunta a Gerusalemme per acclamarlo Messia predisse: “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me. Questo diceva per indicare di quale morte doveva morire” (Gv 12, 32).

In buona sostanza, quindi, la croce, per un verso, viene maledetta come strumento di supplizio, per un altro verso, viene esaltata come via di redenzione. Nell’insegnamento di Gesù, prevale il significato di via di redenzione e simbolo di amore supremo. Infatti, non è la croce ad aver dato gloria a Gesù, ma è Gesù che ha dato gloria alla croce, avendola vissuta come simbolo d’una vita offerta per amore “fino all’estremo” (Gv 13,1). Proprio, per far comprendere questa verità ai cristiani e per non confinare la croce all’interno di una visione dolorista, scrive Enzo Bianchi, la Chiesa ha sentito il bisogno di celebrarla anche in un giorno diverso dal venerdì santo, al fine di raccontare la gloria che, grazie a essa, Gesù ha mostrato: la gloria dell’amore. Così nel IV secolo a Gerusalemme è sorta questa festa che la Chiesa cattolica e quella ortodossa celebrano ancora oggi il 14 settembre.

Un’altra domanda che ci poniamo è se si possa evangelizzare e convertire la gente in nome della croce e con il simbolo della croce. In realtà, il comando di Gesù a prendere la propria croce per seguirlo ed essere suo discepolo, secondo Benedetto XVI, è uno dei passi evangelici meno compresi nella storia del Cristianesimo. “Questa affermazione radicale ha finito per alimentare una spiritualità doloristica che nulla ha a che vedere con la chiamata alla gioia che contraddistingue la “buona notizia”, e che svilisce la portata delle parole di Cristo riducendole a un banale richiamo a sopportare con rassegnazione le sventure della vita”. Nella disputa sulla necessità o la legalità dell’esposizione del Crocifisso negli edifici pubblici si è insistito molto nel ribadire che la croce è il simbolo dell’amore e, di conseguenza, non dovrebbe offendere nessuno. La risposta alla nostra domanda, però, sulla possibilità di evangelizzare con il simbolo della croce ce la da in modo particolare l’Apostolo Paolo.

Nei suoi viaggi apostolici San Paolo è arrivato ad Atene e, girando per le strade della città, aveva notato che abbondavano le edicole sacre e i monumenti alle divinità. Partendo da questa constatazione della religiosità degli ateniesi si presentò all’Aeròpago, il collegio delle supreme magistrature dello Stato che custodiva le leggi, la pubblica moralità e i culti cittadini. Ai membri illustri di questo collegio iniziò a presentare il cuore del cristianesimo: la risurrezione di Gesù dai morti, facendo affidamento sulla sapienza umana. Ma questa sapienza non era arrivata a capire la possibilità d’una risurrezione dai morti. Non era arrivata neppure a capire la possibilità di amare un nemico e perdonare l’offesa. Perciò, i sapienti di Atene non accettarono il messaggio rivoluzionario di Paolo. “Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un’altra volta». Così Paolo abbandonò quella modalità di annuncio e decise di cambiare registro nella continuazione della sua missione. Scrivendo alla comunità di Corinto  afferma: ”Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti:  “Distruggerò la sapienza dei sapienti /e annullerò l’intelligenza degli intelligenti”.

“Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1, 17-25).

Cari fratelli e sorelle,

esaltare la croce, in ultima analisi, vuol dire esaltare l’amore senza misura di Gesù. Questo amore viene esaltato, per esempio, da una mamma che dà la vita per il figlio, dalla moglie che cura il marito malato di sla, dal medico missionario che spende la vita per curare le malattie della gente povera, dal giovane che abbandona la carriera per il volontariato sociale. Lo esaltiamo anche noi quando ci segniamo con il segno della croce per aver scampato un pericolo, quando ci segniamo prima di intraprendere un viaggio o un nuovo lavoro, prima di prendere un pasto o di fare una preghiera. Quando facciamo il segno della croce è come se dicessimo: grazie o Gesù perché mi hai amato senza misura. Rendimi capace di amare come te amici e nemici, credenti e non credenti, buoni e cattivi. Fà che la croce non sia un distintivo identitario che divide e separa ma un simbolo del tuo amore che salva e unisce.

Amen.