Omelia per l’Epifania del Signore

Cattedrale di Oristano - 6 gennaio 2018
06-01-2018

Cari fratelli e sorelle,
la festa di oggi conclude la celebrazione del mistero della discesa di Dio sulla terra, ossia dell’incarnazione del Figlio di Dio. Questo evento, soprannaturale e storico allo stesso tempo, si è manifestato in prima istanza all’umile gente di Betlemme, cioè ai pastori e agli abitanti del piccolo villaggio della Giudea. Con l’Epifania, il mistero della salvezza in Cristo, luce delle genti, viene manifestato a tutti i popoli della terra. Il profeta Isaia annuncia che tutte le genti saliranno a Gerusalemme, dove brillerà la gloria del Signore (Is 60, 1-6). L’apostolo Paolo scrive che tutti i Gentili sono chiamati a condividere la stessa eredità di Cristo e, che, quindi, non solo gli apostoli e i profeti sono dichiarati eredi della salvezza, bensì tutti i popoli della terra (Ef 3, 5-6). Infine, l’evangelista S. Matteo descrive il viaggio dei Magi, venuti ad adorare il re dal lontano Oriente. I Magi sono figure misteriose e simboliche, molto rilevanti per i messaggi spirituali che ispirano. Infatti, la loro visita alla grotta di Betlemme e la reazione del re Erode alla notizia dell’esistenza di un Messia esprimono, in qualche modo, il senso umano della ricerca vera e della ricerca falsa. Esiste, cioè, una ricerca vera dei Magi che porta all’adorazione del Messia, ed una ricerca finta di Erode che, invece, mira all’uccisione del Messia. Questi due atteggiamenti sono l’espressione massima dell’ambiguità che si annida nel cuore dell’uomo, fonte di azioni buone e di azioni cattive, scelte di vita e scelte di morte. Il racconto della visita dei Magi evoca anche il fenomeno umano del camino della vita. C’è un cammino che si intraprende nel dubbio, nella fatica, nell’incertezza, ma che, guidato dalla stella celeste, conduce ad una meta. E c’è un cammino che si intraprende con false sicurezze, guidato dalle promesse ingannevoli, e si infrange contro la barriera dei limiti invalicabili. Per il cristiano, tuttavia, “nulla è impossibile” a Dio e alla sua grazia (Lc 1, 37).
La manifestazione di Gesù ai popoli, ora, viene legata dalla tradizione cristiana alla natura e all’attività missionaria della Chiesa. La conoscenza di Gesù crea il desiderio di comunicarla, di condividerla, per cui chi accoglie la rivelazione di Gesù diventa quasi automaticamente missionario della sua persona, annunciatore e testimone della sua grazia. San Paolo, scrivendo ai Corinti, confessò: “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1Cor 9, 16). In altri termini, San Paolo fa capire che, per il cristiano, la predicazione del Vangelo di Gesù non è una scelta facoltativa ma un dovere essenziale, e che il dono del Vangelo lo dobbiamo condividere.
La via fondamentale per portare i fedeli alla conoscenza di Gesù è, ovviamente, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura, e, in modo particolare, del Vangelo. San Girolamo aveva affermato che “l’ignoranza della Scrittura è l’ignoranza di Gesù Cristo”. D’altra parte, annunciare e trasmettere la Parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura è annunciare e trasmettere la fede in Gesù Cristo. Il compito e la missione di portare i fedeli alla conoscenza di Gesù, però, non è opera del singolo cristiano ma dell’intera comunità e, di conseguenza, il soggetto privilegiato, a questo riguardo, è la parrocchia, anche se, per iniziative più articolate, è necessaria la struttura diocesana.
Il Papa ha ribadito che “la Chiesa è missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire. Per Francesco, “la missione della Chiesa, destinata a tutti gli uomini di buona volontà, è fondata sul potere trasformante del Vangelo. Il Vangelo è una Buona Notizia che porta in sé una gioia contagiosa perché contiene e offre una vita nuova: quella di Cristo risorto, il quale, comunicando il suo Spirito vivificante, diventa Via, Verità e Vita per noi (cfr. Gv 14,6). È Via che ci invita a seguirlo con fiducia e coraggio. Nel seguire Gesù come nostra Via, ne sperimentiamo la Verità e riceviamo la sua Vita, che è piena comunione con Dio Padre nella forza dello Spirito Santo, ci rende liberi da ogni forma di egoismo ed è fonte di creatività nell’amore”.
“La missione della Chiesa, conclude il papa, non è, quindi, la diffusione di una ideologia religiosa e nemmeno la proposta di un’etica sublime. Molti movimenti nel mondo sanno produrre ideali elevati o espressioni etiche notevoli. Mediante la missione della Chiesa, è Gesù Cristo che continua ad evangelizzare e agire, e perciò essa rappresenta il kairòs, il tempo propizio della salvezza nella storia. Mediante la proclamazione del Vangelo, Gesù diventa sempre nuovamente nostro contemporaneo, affinché chi lo accoglie con fede e amore sperimenti la forza trasformatrice del suo Spirito di Risorto che feconda l’umano e il creato come fa la pioggia con la terra. “La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali” (Evangelii gaudium, 276).
Recentemente ho ribadito che, per il nostro territorio, dove si riscontra ancora un cristianesimo popolare, una concreta via di evangelizzazione è, sicuramente, la pietà popolare, molto viva e presente nel cuore della nostra gente. Di sicuro, essa deve essere purificata da credenze superstiziose e manifestazioni para religiose. Alcune debolezze devono ancora essere sanate dal Vangelo: il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, una scarsa partecipazione all’Eucaristia, credenze fataliste che fanno ricorrere alla stregoneria. “Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Tuttavia, nonostante questi limiti, “nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi. Secondo Paolo VI “la pietà popolare “manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere” e che “rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede”. Benedetto XVI, in America Latina, ha segnalato che si tratta di un “prezioso tesoro della Chiesa cattolica” e che in essa “appare l’anima dei popoli latinoamericani”.
Cari fratelli e sorelle,
se non vogliamo ridurre il nostro cristianesimo alla frequenza delle novene e delle feste popolari, dobbiamo vivere e annunciare il Vangelo di Gesù. Se lo viviamo, lo annunciamo in modo credibile. Se non lo viviamo, recitiamo la parte e inganniamo noi e gli altri. Il mondo ci chiede sincerità, convinzione; ci chiede di metterci la faccia. Se siamo sinceri e non finti cercatori di Dio, ci accorgiamo che Egli sta con noi. Anche il lunedì, non solo la domenica. Testimoniamolo, allora, ed annunciamolo la domenica e il lunedì, da gennaio a dicembre, in famiglia e in ufficio, nel pianto e nella gioia. Sempre.
Amen.