Omelia per l’Ordinazione Diaconale di Enrico Porcedda e Emanuele Lecca

Cattedrale di Oristano, 8 dicembre 2018
08-12-2018

Cari fratelli e sorelle,

con questa festa dell’Immacolata, la Chiesa fa memoria di Maria, cioè di colei che ci conduce alle origini del mistero della salvezza e al cuore stesso della nostra fede, lei che, per prima, fu discepola e madre del Signore nostro Gesù Cristo e madre di tutti i credenti. Per la nostra chiesa Arborense, la festa coincide con l’ordinazione diaconale di Enrico Porcedda e Manuele Lecca, che oggi consacrano la loro vita al Signore per portare alla comunità diocesana entusiasmo spirituale e passione evangelica.

La liturgia della Parola di questa celebrazione eucaristica ci propone due dialoghi. Nel primo dialogo della Genesi, Dio stesso parla con Adamo, ossia con l’uomo (cfr. Gn 3, 9); nel secondo dialogo del Vangelo di San Luca, è l’arcangelo Gabriele, l’Inviato da Dio, che dialoga con Maria (Lc 1, 26-38). Due dialoghi con un’unica chiamata da parte di Dio e due risposte differenti da parte dell’uomo. Dio parla con l’uomo e continua a parlargli anche quando questi non vuole prestargli ascolto. In qualche modo, secondo Mons. Pier Luigi Pizzaballa, la Bibbia è la storia del dialogo di Dio con l’uomo, perché è sempre Dio che prende l’iniziativa di dialogare. La particolarità della fede ebraica e cristiana sta proprio nel fatto che Dio interpella l’uomo prima che l’uomo interpelli Dio, Dio cerca l’uomo prima che l’uomo cerchi Dio.

Nella sua omelia per l’Immacolata alla quale mi ispiro per la presente riflessione, Mons. Pizzaballa cita il rabbino ebreo Andrea Neher, il quale immagina che Giobbe, nella sua ostinazione a rimanere in dialogo con Dio e a non accontentarsi delle risposte dei propri amici, alla fine di tutto il suo percorso, potrebbe aver detto una cosa così: “Signore, quando parlavano i miei amici, io capivo tutto, ma non mi dicevano niente. Ora che Tu parli, io non capisco niente, ma mi basta che Tu mi parli”. In altri termini, noi viviamo nella misura in cui dialoghiamo con Dio e ascoltiamo la sua Parola. Se Lui non ci parla, noi siamo come chi scende nella fossa, noi siamo morti. Dice il salmo: “A te grido, Signore; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa” (Sal 28, 1).

Il racconto della Genesi ci dice che Dio parla con l’uomo, ma l’uomo non lo ascolta, perché ha nel cuore un’altra parola, quella del serpente. Accetta che questa parola gli prometta il possesso della conoscenza del bene e del male, unito al conseguimento dell’immortalità fisica (cfr. Gn3, 4-5). Una volta, però, che egli rompe la sua relazione con Dio, ha paura e si nasconde. Senza Dio, infatti, l’uomo non ha casa, non ha vita, si sente nudo. Ha paura, perché la paura è il primo frutto del peccato.  Ma Dio lo cerca e gli domanda: “Dove sei?”(Gn3,9). Potremmo dire che questa domanda, “dove sei?”,  percorre il tempo, i secoli, la storia, sempre alla ricerca dell’uomo, alla ricerca di ricostruire il dialogo interrotto. Dio persegue con tenacia il suo progetto di relazione e va a cercare Abramo, i patriarchi, Mosè, Davide, i profeti … e arriva fino a Maria di Nazaret.

Chi è Maria di Nazaret? Dei tre nomi con i quali lei è indicata nel racconto dell’Annunciazione, uno se lo dà lei stessa: “sono la serva del Signore, sia compia in me secondo la tua Parola” (Lc 1, 38). L’anagrafe del tempo la registra con il nome Maria, l’arcangelo Gabriele la chiama con l’appellativo: “piena di grazia”. Lei si presenta come una donna che vive per il Signore. Non si lascia influenzare dagli usi e costumi del suo villaggio, dove è conosciuta come la fidanzata di un giovane carpentiere. Si lascia guidare dalla parola di Dio, che, per lei è a tutti gli effetti “lampada per i passi e luce sul cammino” (Sal118, 105).

Anche a lei Dio chiede, indirettamente, “dove sei?”. La sua risposta, però, non è la paura e il nascondimento. Certamente prova timore, perché sente tutto il peso della sproporzione tra lei e Dio, tra il progetto potente di Dio e le sue deboli risorse umane. Ma questo non le impedisce di ascoltare, e ascolta veramente, cioè si lascia convincere da Dio che le dice semplicemente di non aver paura: “Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc1,30).

Ora, “come la paura è il frutto del peccato, la fiducia è il frutto della grazia. Questa è la cosa nuova, ripete Mons. Pizzaballa, la nuova creazione che Dio compie in Maria, una donna nuovamente capace di fidarsi di Dio. Per cui Maria dice “sì”, e dice “sì” ad essere ciò per cui l’uomo era stato creato in principio, ovvero ad essere luogo della Parola, terra che accoglie la Parola di Dio. Ad essere una donna completamente aperta e disponibile a questo dialogo, libera di essere solo questo ascolto”.

Il dialogo tra l’arcangelo Gabriele e Maria di Nazaret, conclude Mons. Pizzaballa, ci dice che il passaggio dalla paura alla fiducia, dalla solitudine alla relazione, è possibile solo per grazia. “Non è possibile per un eventuale sforzo dell’umanità che, da sola, riesce a ristabilire una relazione giusta con Dio, ma perché Dio stesso sceglie una creatura e la rende capace di nuovo di una relazione piena con Lui, una relazione libera dalle conseguenze del peccato”.

Cari Enrico ed Emanuele,

Oggi Dio domanda anche a voi: “Dove sei?” La vostra risposta dovrà essere: “siamo dentro la Tua grazia, o Padre, dentro il Tuo amore, non per merito nostro, ma per la Pasqua del tuo Figlio Gesù, che, per il Suo donarsi fiducioso e definitivo a Te, ha riaperto per sempre la strada al dialogo con Te, nostro Padre e nostro Signore”. Dio è ancora alla ricerca di coloro che, come Maria, sappiano rispondere con fiducia alla domanda dell’inizio. Dio chiede ad ognuno di noi dove siamo e dove vogliamo andare, mentre camminiamo chini su noi stessi, preoccupati e angustiati per le nostre difficoltà, invecchiati dall’abitudine e dal pessimismo, impauriti e sfuggenti quando il Signore ci parla. Oggi, voi avete risposto alla chiamata dicendo: “Eccomi”. In futuro, abbiate il coraggio di ripetere “eccomi” quando Dio vi chiamerà con l’obbedienza del Vescovo, con il lamento dei malati degli ospedali, con il grido dei giovani che cercano futuro, con quello dei poveri che chiedono umanità. Non siate a servizio dei ricchi di beni e di sicurezze, che il Vangelo non chiama mai per nome, ma dei tanti Lazzaro, vittime della cultura dello scarto, che si sfamano con gli avanzi della mensa dei ricchi.

Salvo scherzi da papa, io non avrò la gioia di ordinarvi presbiteri, voi abbiate la certezza che vi accompagnerò con la preghiera al Signore del tempo e della storia, perché renda fecondo il vostro ministero e viva la comunione dei nostri sentimenti.

Amen.