Intervista ad Antonio Spadaro. Frontiere che si ascoltano.

Il dialogo con la Cina e il messaggio di Papa Francesco. Intervista al direttore de La Civiltà Cattolica.

Michele Spanu, responsabile dell’ufficio regionale per le comunicazioni sociali della CES, la Conferenza Episcopale Sarda, ha intervistato Antonio Spadaro, gesuita, giornalista, teologo e attuale direttore della rivista “La Civilità Cattolica”.  Ne riportiamo il testo integrale, pubblicato anche sulle pagine de L’Arborense, per condividerlo in questo spazio di approfondimento del nostro sito.


Frontiere che si ascoltano.

Antonio Spadaro: nel 2017 la Civiltà Cattolica usciva già in cinque lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo, coreano. Ora è partita una nuova edizione in cinese semplificato. Come mai questa decisione? La Civiltà Cattolica interpreta se stessa come una rivista internazionale. La Compagnia di Gesù è un ordine religioso diffuso in tutto il mondo e ha una visione spirituale sulla realtà che aiuta a plasmare il pensiero anche di tipo economico, politico, sociologico, con uno sguardo sull’arte e sulla cultura in generale. Nello stesso tempo c’è un desiderio profondo che risponde alla natura di una rivista culturale: perché siamo tutti in relazione gli uni con gli altri e in qualche modo, paradossalmente, il Coronavirus ce lo ha dimostrato ancora di più. Quindi vogliamo che la rivista rispecchi questa unità e che tra le nostre pagine non manchino voci di tante frontiere che si ascoltano, come ha scritto Papa Francesco nel messaggio per il 170° anniversario della rivista. L’edizione in lingua cinese si ritrova all’interno di questa visione ampia ed è chiaro che il ruolo che la Cina sta svolgendo in questo momento è significativo, pure al di là di ogni valutazione. Oggi bisogna avere un occhio particolare sulla situazione di questo Paese e il modo migliore è dialogare con la lingua e la cultura.

Quali sono le nuove tappe del dialogo con questo grande Paese? È molto importante il dialogo culturale. Chiaro che per noi questo dialogo si incarna all’interno di un dialogo tra la Cina e la Santa Sede che va avanti almeno dal 1986, cioè da oltre 30 anni. Sarebbe un abbaglio pensare che gli avanzamenti che sono avvenuti con l’accordo provvisorio firmato due anni fa tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi sia legato agli ultimi tempi. No, è la fase più recente di questi dialoghi. Questo accordo, di tipo pastorale, m evidentemente porta a una maggiore attenzione da parte nostra e da parte della Chiesa nei confronti della Cina. Oggi la Cina non è così distante come ai tempi di Matteo Ricci. Matteo Ricci è un grande punto di riferimento: Papa Francesco ci ha dato come modello da seguire proprio Ricci almeno per due motivi. Primo perché compose un mappamondo, che servì a creare conoscenze e connessioni tra il popolo cinese e le altre civiltà. In un mondo diviso come il nostro questo mappamondo è immagine ideale dell’armonia di una terra in pace, quindi la rivista vuole essere un mappamondo. E poi nel 1601 Matteo Ricci compose un trattato sull’amicizia: l’amicizia è uno dei valori fondamentali che costruiscono la fiducia. Nei rapporti tra la Cina e la Santa Sede uno dei punti importanti è quello di far crescere la fiducia m reciproca. Nelle nostre città inoltre ci sono comunità cinesi anche estese. La Civiltà Cattolica è una rivista italiana – la più antica rivista italiana – quindi la presenza cinese nel nostro Paese richiede e contempla anche l’edizione in lingua cinese.

Cinque anni fa l’enciclica Laudato si’ ci ha ricordato che “tutto nel mondo è intimamente connesso”. Al tempo della pandemia stiamo vivendo la carica profetica di queste parole. È d’accordo? Certamente. La Laudato si’ ha dato uno sguardo sulla realtà e sul mondo che possiamo definire profetico. Uno sguardo che ha posto le questioni sull’ambiente in termini di giustizia sociale. L’espressione «tutto è connesso», scandita più volte nell’enciclica, è tornata spesso nel recente Sinodo per l’Amazzonia. In un momento come quello in cui viviamo, dove la pandemia ci fa comprendere come veramente siamo tutti interconnessi e che non si può immaginare la soluzione di un problema solo in termini locali, quelle parole hanno veramente un valore profetico.

Lei ha accompagnato diverse volte il Papa nei suoi viaggi internazionali. Ora che tutti i viaggi sono stati sospesi, c’è una terra che Francesco guarda con particolare attenzione? La visione del Papa non è unidirezionale. Non  sappiamo dopo questa fase quali saranno le terre visitabili, però certamente la direzione asiatica è molto importante. Si è parlato di un viaggio a Wuhan ma sono voci infondate, per quanto il Papa abbia detto più volte che amerebbe andare in Cina. Di sicuro il mondo dopo il Coronavirus non sarà quello che abbiamo lasciato e ci vorrà del tempo affinché si superi questa fase. Vedremo.

In Sardegna la presenza dei gesuiti può contare su oltre 450 anni di storia. Un nome su tutti: p. Giuseppe Pittau che ha speso gran parte della sua vita nel dialogo con il Giappone. Sono molto legato a p. Pittau. Mi ha seguito sin da prima che entrassi nella Compagnia di Gesù e fossi ammesso al noviziato. Lo ricordo per il suo tratto umano che coniugava decisione e delicatezza. L’ultimo incontro è stato in occasione del mio primo viaggio in Giappone. Lui era a Tokyo, nell’infermeria, e io sono stato l’ultimo delle persone che lui ha conosciuto qui in Italia ad averlo incontrato. Mi ha insegnato ad assumere uno stile di grande m delicatezza e allo stesso tempo è stato un modello di inculturazione: il suo modo di esprimersi, persino il modo di camminare, rispecchiava l’amore profondo per cultura del Giappone. E questo è un altro elemento che ho appreso da lui. L’amore per le persone, che parte dalla considerazione per la loro cultura e il loro modo di esprimersi.

A cura di Michele Spanu, Incaricato CES Comunicazioni Sociali