Sul n. 12 di Regno Attualità mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e già segretario generale della Cei negli anni 2008-2013, riflette in modo approfondito e lucido sulla situazione e sulla missione pastorale della Chiesa nella società attuale e sul ministero del vescovo e dei presbiteri oggi, in un contesto religioso e sociale che sta rapidamente cambiando (anche il coronavirus ha fatto e fa la sua parte) e richiede un supplemento di pensiero e di discernimento alla luce della Parola di Dio.
Limitarsi a continuare una prassi rituale e devozionale, magari con qualche aggiustamento di sapore conciliare, diventa forte ostacolo per fare come Chiesa quella lettura profetica e sapienziale della realtà che ci viene richiesta dalla missione evangelizzatrice a noi affidata e richiamata dalla Evangelii Gaudium e da tanti interventi di Papa Francesco.
L’esercizio della dimensione profetica, non può essere un atto solitario del pastore ma un processo promosso e avviato da lui che coinvolga l’intera comunità ecclesiale … Scrive ancora Mons.
Crociata: noi preti e vescovi non siamo avvezzi al dialogo sulle cose essenziali, al discernimento comunitario, anche se se ne parla da tempo. Ci affanniamo dietro a questioni operative a tutti i livelli… troppo presi dalle cose da fare…
Sono parole che devono farci riflettere e suscitare dibattito, anzitutto perché non è in questione soltanto il ministero del vescovo oggi ma la vita dell’intera Chiesa diocesana e della Chiesa italiana tutta. Secondo motivo, questa riflessione ci rimanda a due termini usati spesso e insistiti da Papa Francesco: il discernimento comunitario e la sinodalità.
In molti ci si chiede: concretamente cosa significa, come possiamo
muoverci? Ma contemporaneamente i ricordi vanno al cammino ecclesiale percorso negli ultimi decenni dalla chiesa italiana, da molte diocesi e da varie regioni, un cammino che ha conosciuto entusiasmi ma anche difficoltà e delusioni, che ci portano a ritenere ormai datati, ad es. consigli pastorali, convegni, ecc. Mons. Crociata ricorda che per molto tempo queste richieste di partecipazione, di condivisione, di corresponsabilità, sono state appannaggio di qualcuno affezionato allo spirito e alle indicazioni del concilio e alla sua recezione.
Proprio per questo ritengo non sia inutile rivisitare il cammino percorso, ai vari livelli, per non pensare che ci sia da inventare tutto e anche per evitare limiti ed errori che hanno contribuito a rallentare un percorso che in certi momenti sembrava davvero ben avviato.
Senza trascurare i consigli presbiterali, e il collegio dei consultori (composto da alcuni sacerdoti del consiglio presbiterale) che ha ereditato alcune competenze che erano del capitolo cattedrale, mi pare importante ripensare soprattutto agli organismi di partecipazione formati da preti e laici: sono questi che hanno conosciuto alterne vicende e oggi sembrano davvero in situazione di stand bye.
A fine anni sessanta e negli anni settanta abbiamo avuto esperienze vivaci, in varie diocesi italiane, di consigli pastorali diocesani e di consigli pastorali parrocchiali. Ma erano anche anni di contestazione che mettevano in questione punti importanti della teologia e del Magistero, e la colpa non era certo del Concilio e dei suoi testi ma di ideologie che facevano letture parziali e distorte dei testi conciliari. Fortunatamente non era così ovunque.
Altro limite fu quello di pensare a tali organismi come a dei “parlamentini”, sia nel modo di formarli che nel funzionamento. Altra esperienza da rivisitare sarebbe quella vissuta da varie regioni nei convegni pastorali regionali. In alcune regioni, come in Sardegna, venne indetto un vero e proprio concilio plenario. Voglio dire il bel ricordo che conservo delle riunioni di commissione, negli anni in cui ero ad Iglesias, ricordo di confronti schietti e cordiali, veri momenti di ascolto e di conoscenza tra le diverse chiese diocesane. Come ho potuto constatare anche in qualche sinodo diocesano, l’evento si è dimostrato importante specialmente nel suo momento esperienziale, nei lavori man mano portati avanti, più ancora che nei documenti finali, presto messi in archivio.
La stessa cosa abbiamo sperimentato anche per i convegni ecclesiali nazionali. Personalmente ho potuto seguire e partecipare a quelli di Palermo (‘95), Verona (‘06) e Firenze (‘15) e ricordo in particolare i momenti preparatori vissuti a livello regionale, ad es. in Sardegna preparando il convegno di Palermo. Così è stato per le Settimane Sociali, ad es. per quella di Reggio Calabria del 2010 – preceduta da incontri in molte regioni e con molti gruppi di giovani – e per quella di Cagliari nel 2017, preceduta in Sardegna dai seminari nelle diverse aree della regione che hanno radunato alcune centinaia di persone competenti e molto partecipi. Per i più grandi di età è utile ricordare l’attenzione e la partecipazione suscitate dal convegno diocesano sui mali di Roma, nel ‘74, e dal primo convegno ecclesiale nazionale del ‘76, quando il problema non era di cercare partecipanti ma di limitarne il numero per ovvi motivi logistici. Sono esperienze certo datate, ma ci dicono che è possibile riprendere in modo nuovo, con fiducia nello Spirito e nel Popolo di Dio, facendo in modo che questo possa incontrare un contesto di vita reale in cui l’esperienza cristiana è praticata e vissuta in un rapporto intellegibile con l’esperienza quotidiana e con le occupazioni di tutti (art.cit.).
Quando papa Francesco indica il discernimento comunitario e la sinodalità ci dice la direzione su cui incamminarci, quella dell’ascolto attento e prolungato, reciproco, che permetta di restare insieme in ascolto della Parola di Dio e di compiere una vera lettura sapienziale della storia di oggi, senza fretta, prima di maturare in modo approfondito le scelte affidate poi a chi deve decidere.
+Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari.