“Padri della Chiesa sono giustamente chiamati quei santi che, con la forza di fede, la profondità e la ricchezza dei loro insegnamenti, nel corso dei primi secoli l’hanno rigenerata e grandemente incrementata”.
Così scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Patres Ecclesiae. E tra i Padri della Chiesa è annoverato Sant’Agostino, vescovo di Ippona, che con il suo ministero pastorale e le sue opere ha contribuito enormemente allo sviluppo della dottrina cristiana.
Se con la sua esperienza di vita il presule africano insegna a percorrere la via dell’interiorità per trovare Dio e a comprendere la sua Parola con fede e ragione, attraverso svariati scritti risponde anche alle grandi domande dell’uomo sull’esistenza, sul bene e sul male, sulla storia. E sono tantissime le omelie in cui Agostino affronta temi di attualità, redarguisce i suoi fedeli sui costumi pagani, li aiuta a leggere la realtà alla luce del Vangelo.
Come pastore, per 35 anni, guida la sua diocesi nell’ortodossia cristiana e, spettandogli la episcopalis audientiae, deve dirimere quelle controversie civili che i cittadini di Ippona gli sottopongono come arbitro di liti, cosa che lo avvicina ancora di più alla sua gente; gli si rivolgono per avere il suo lodo arbitrale folle di litiganti, pagani e cristiani. Tutto questo lo porta a trattare problemi concreti e ad affrontare via via eresie e questioni teologiche, mentre le sue prediche ammaliavano l’uditorio tanto da riuscire a trattenerlo pure per ore.
In età matura, fra il 413 e il 426, Agostino scrive La città di Dio, offrendo una lettura della storia attraverso la lente della fede cattolica. Nei 22 libri che la compongono il mondo viene descritto come frutto della “città terrena”, segnata dal peccato dell’uomo e dall’amor di sé, e della “città celeste”, luogo della Grazia e dell’amor di Dio. Ma, per il vescovo di Ippona, in tutte le civiltà ci sono uomini che appartengono all’una o all’altra. Inoltre, scorgendo la Provvidenza a guida dell’intera storia, ogni avvenimento e ogni singola vicenda personale s’illuminano di significato. Quella di Agostino, ne La città di Dio è una riflessione filosofica, teologica e politica.
Padre Giustino Casciano, priore provinciale della Provincia Agostiniana d’Italia, spiega cosa recuperare oggi di quest’opera.
R. -“La città di Dio” è stata scritta da Agostino nel momento in cui Roma è caduta nelle mani dei Goti. Questo evento veramente epocale ha scosso molto le persone, le coscienze di allora, e ha fatto sorgere l’accusa contro i cristiani di essere loro la causa della rovina della città di Roma, della città eterna. E Agostino vuole, scrivendo “La città di Dio”, proprio rispondere a queste accuse. E lui dice che non è a causa del cristianesimo che Roma è diventata debole ed è caduta nelle mani dei barbari, ma è a causa della corruzione morale, della corruzione dei costumi, che Roma ha perso il suo splendore e la sua grandezza. É diventata debole a causa dell’uomo, che ha seguito più le passioni che la propria intelligenza, il proprio destino eterno. Credo che sia interessante riflettere sulla situazione attuale del mondo, sul fatto che viviamo questa crisi della epidemia globale che ha colpito tutti i popoli. La riflessione di Agostino può essere molto interessante per avere una visione della storia del mondo, dove il cristianesimo può dare tanta luce, dove la fede cristiana può offrire tante vie di uscita.
Come si rivolgerebbe Agostino al mondo di oggi?
R.- Devo dire che Agostino parla molto all’uomo di oggi. L’uomo contemporaneo lo sente molto vicino; è lontano più di 1600 anni ma il suo linguaggio, la sua maniera di essere e di porsi, lo rende veramente molto, molto attuale. Credo che Agostino parlerebbe, soprattutto, a livello antropologico, parlerebbe al cuore delle persone, al loro bisogno di felicità, di sicurezza. Credo che sarebbe veramente interessante sentirlo parlare o scrivere nella società di oggi. Ed è compito di noi agostiniani renderlo vivo, attuale, nella nostra società.
Lei è stato appena eletto priore della Provincia Agostiniana d’Italia, quali sono le priorità delle comunità agostiniane italiane?
R.- Sentire insieme alla Chiesa e camminare insieme alla Chiesa cattolica. Agostino è stato, dopo la conversione, un grande pastore molto attento a tutte le problematiche della società e della Chiesa di allora. E lui, nella regola, nei suoi scritti, dona a noi proprio questo insegnamento: mettere al primo posto le necessità della comunità cristiana e lasciare da parte anche un legittimo bisogno di ricerca, di contemplazione, di studio, purché al primo posto ci siano le necessità della carità. Quindi noi vogliamo, come agostiniani, avere questa priorità: aiutare il Papa, aiutare i vescovi, camminare insieme alla Chiesa cattolica nella missione di evangelizzare il mondo in cui viviamo.
La Provincia Agostiniana d’Italia come affronta questo momento particolare della storia?
R. – Con l’annuncio del Vangelo, sia con la parola che con la vita. Però non un annuncio del Vangelo fatto da soli, ma fatto insieme alla comunità religiosa. Il nostro carisma è soprattutto questo della comunione: i religiosi vivono insieme, si aiutano, cercano di camminare uniti nella fede, nella preghiera, nel servizio, per poter annunciare il Vangelo con un cuore solo e un’anima sola. É un ideale difficile, perché la vita comune è una palestra, è un continuo allenamento, un continuo combattimento, per superare le differenze e trasformare le individualità in una ricchezza, superare le difficoltà a volte che sono di carattere, di culture, di provenienze diverse, facendo diventare queste differenze una ricchezza. E questo è possibile con il dono della carità. La carità al di sopra di tutto. Noi abbiamo in Italia grandi santuari, come il santuario di Santa Rita a Cascia, abbiamo grandi parrocchie, come a Milano o a Roma o in altre città; noi non ci distinguiamo per un apostolato particolare; molti di noi, sono professori, abbiamo un grande centro di cultura nell’Augustinianum di Roma, abbiamo un centro medico di eccellenza in provincia di Bari. Quello che ci distingue è soprattutto questo evangelizzare insieme, come comunità.
Come vede il futuro delle comunità agostiniane in Italia?
R. – È un futuro sicuramente con molte difficoltà, dovute soprattutto alla carenza delle vocazioni, per cui l’urgenza più importante è avvicinare i giovani, camminare insieme ai giovani, annunciare Gesù alle nuove generazioni e chiedere con la preghiera incessante il dono di avere nuove e sante vocazioni alla vita consacrata e al ministero ordinato. Noi non vorremmo chiudere dei conventi, noi vorremmo, con l’aiuto di Dio, aprire nuove realtà; però questo, è chiaro, si può fare solo attraverso le nuove vocazioni, senza dimenticarci che camminiamo insieme alle famiglie, insieme ai laici. Noi siamo un tutt’uno con i laici e le famiglie agostiniane che vivono nei nostri contesti. Le difficoltà della Chiesa sono le nostre difficoltà.
C’è una frase, un pensiero, di Agostino che, secondo lei, può essere un po’ il motto della Provincia Agostiniana Italiana per i prossimi anni?
R.- Mi vengono in mente, naturalmente, diverse frasi. Una riguarda la ragione e la fede: “Credi per poter comprendere e comprendi per poter credere”. Credo che sia importante per noi unire sempre di più tutte le capacità della scienza, della tecnica, dell’intelligenza umana, però alla fede. Solo se siamo capaci di avere queste due ali, l’ingegno umano e la fede in Dio, noi possiamo veramente volare. Se manca una di queste due ali c’è rischio che rimaniamo per terra e non riusciamo a sollevarci. E mi piace molto anche la frase che riguarda la Grazia di Dio. Mettere insieme la libertà umana e la Grazia di Dio, quindi fare tutto quello che puoi con le tue forze, ma soprattutto affidarti alla Grazia di Dio con la preghiera. Credo che Agostino sia proprio capace di unire sempre queste realtà fra di loro; è il dottore della Grazia ma è anche il dottore della libertà.
A cura di Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Vatican news del 28 agosto 2020