Matteo riporta un brano completamente suo, che non ci viene tramandato dalle altre fonti evangeliche. Quindi, è materiale molto importante per caratterizzare il contesto tematico di questo anno liturgico che sta andando verso il suo termine.
Matteo è eminentemente ebraico anche in questo contesto: il dire è importante, ma il fare lo conferma. Non può sussistere una parola che non sia confermata da un’azione, non sta in piedi una promessa che non si realizzi nell’attuazzione. Per assurdo, non sarebbe autentica la Parola di Dio se non si fosse attuata in modo concreto nell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio. Siamo pienamente nella logica della Buona Notizia: Dio fa quel che dice.
L’acclamazione al dono delle Dieci Parole fu: Quanto il Signore ha detto noi lo faremo (Es 19,8). Ecco una parola performativa, cioè che attualizza ciò che pronuncia. È come il Sì degli sposi che rende indissolubile il matrimonio, le parole del presbitero durante la celebrazione eucaristica sul pane e sul vino, le deposizioni forensi, le promesse tra amici, i giuramenti tra fidanzati e sposi.
Si spera che, soprattutto negli ultimi tre esempi, la parola sia vera e consequenziale alla vita. Abbiamo ancora una parola? Siamo ancora capaci di dire: ti do la mia parola?
Nella nostra antica società agro-pastorale tutti i contratti ordinari venivano stipulati sulla parola data e quindi sulla fiducia vicendevole. Dio ha una parola unica e stabile. Noi? Non solo con lui, ma soprattutto tra di noi.
Il brano evangelico inizia con un interrogativo importante: Che ve ne pare? Il giudizio è affidato a noi. A noi è chiesto di esprimerci su ciò che viene detto: due figli/fratelli adottano strategie diverse col loro padre. Uno dice si e non fa; uno dice no e fa. Che te ne pare? Tu che ascolti, a chi assomigli maggiormente? Il vangelo non è detto da nuora perché senta suocera, ma è detto a me che lo ascolto, che lo sento a Messa, che lo leggo qui, che lo sento bruciare nel cuore.
Proprio per questo Gesù ci pone in guardia di non disdegnare questo ascolto: chi lo ascolterà come novità – come le prostitute e i pubblicani – lo accoglierà subito, poiché lo riconoscerà Buona Notizia.
Chi legge questa pagina, forse, rischia di sentire queste parole evangeliche fastidiose, fuori luogo, progressiste, irritanti. Se così fosse, la Parola ha toccato nel vivo. È da considerarsi molto peggiore la situazione di tutti coloro che la ascoltano con sufficienza, presunzione, superiorità. La Parola ci è comunicata per trasformarci, perché non cerchiamo il nostro interesse, ma quello degli altri in modo da avere gli stessi sentimenti di Cristo, come ci ricorda Paolo nella bruciante seconda lettura, indirizzata ai cari e indomiti filippesi.
A cura di Michele Antonio Corona
Pubblicato su L’Arborense n.32/2020