Alla scoperta del nuovo Messale: l’atto penitenziale
Ancora un nuovo importante focus sulla terza edizione del Messale Romano, che andiamo presentando in questa nostra rubrica: il focus approfondisce il tema riportando gli insegnamenti del prof. mons. Fabio Trudu, docente di liturgia nella Facoltà Teologica, che durante l’ultimo ritiro del clero ha presentato ai preti arborensi. Il testo del Messale, che sarà normativo, dal 28 novembre, in tutte le parrocchie della diocesi di Oristano, secondo le delibere dell’Episcopato Italiano che lo ha votato in Assemblea generale, ha ricevuto – ricorda la nota della Cei – l’approvazione del Sommo Pontefice, Papa Francesco, il 16 maggio 2019.
Oltre alle variazioni e agli arricchimenti dell’editio tipica tertia latina, propone altri testi facoltativi di nuova composizione, maggiormente rispondenti al linguaggio e alle situazioni pastorali delle comunità e in gran parte già utilizzati a partire dalla seconda edizione in lingua italiana del 1983.
Facciamo un primo passo verso il testo, e analizziamo i cambiamenti più significativi e vistosi: nel Rito della Messa con il popolo (noto come Ordo Missae cioè Ordinario), notiamo subito che i nostri vescovi hanno scelto di inserire per il segno di Croce e il saluto iniziale una melodia in pentagramma (a differenza del Messale Latino che ha volutamente conservato la notazione quadrata, tipica del gregoriano).
Sono quindi proposti tre formulari per l’Atto penitenziale, che si concludono con la assoluzione del sacerdote: curiosamente l’atto penitenziale, nell’edizione latina ci sono diverse melodie gregoriane, il nuovo Messale, nella sezione in fondo al libro chiamata Melodie, propone un solo schema relativo al solo secondo formulario, per il resto tutto è recitato. Mi pare che questa sezione sia un po’ povera, eppure questa parte è importante nella celebrazione perché, insieme al canto che accompagna l’ingresso dei ministri, dovrebbe dare il tono alla celebrazione eucaristica specie nei tempi forti di Avvento e Quaresima.
I riti iniziali rimangono tra le parti più povere dell’intera celebrazione. Così come non è data nessuna significativa importanza, se non nella denominazione rituale, che è la stessa fin dalla prima edizione del MR, di assoluzione. Di fatto nessun mai riesce a celebrare il significato profondo di questa assoluzione. L’unica novità è l’inserimento, nel Confiteor, del termine sorelle dopo fratelli (secondo me, senza grandi sforzi, credo che si sarebbe potuto inserire il termine sorelle anche prima di fratelli, con un effetto inclusivo migliore…).
Nel Terzo formulario, che prima proponeva come risposta Signore pietà, ora si preferisce l’uso dell’acclamazione in greco: Kyrie eléison, Christe eléison, Kyrie eléison. Mi piace sottolineare lo spirito di questa operazione culturale di conservazione di un’acclamazione che, storicamente e affettivamente, veicola un’esperienza liturgica molto antica che, così, può permanere nella liturgia romana, come in quella ambrosiana: si tratta di far vivere un’espressione greca particolarmente preziosa proprio perché rarissima in un libro liturgico latino.
Nel nostro Messale vengono proposte espressioni greche solo un’altra volta: nel contesto rituale della Celebrazione della Passione del Signore (Venerdì Santo) durante l’Adorazione della Santa Croce si possono proclamare alcune acclamazioni in lingua greca: Hágios o Theós; Hagiós Ischirós, Hagiós Athánatos, eleison himas (Dio Santo, Dio Forte, Dio Immortale abbi pietà di noi). Sono le uniche e ultime tracce di una liturgia greca che, nella compresenza di vari riti, caratterizzavano le celebrazioni della Chiesa antica e che ancora oggi ci permette, in modo profondo ed ecumenico, di unirci alle liturgie orientali cattoliche e anche a quelle delle varie Chiese ortodosse.
Tonino Zedda (2 – continua)