Il testimone della settimana: Leone Ignazio Mangin

Alla fine del XIX secolo, il territorio cinese venne occupato da potenze occidentali che tramite concessioni territoriali controllavano la popolazione locale disprezzandone la cultura. Questo portò alla nascita di gruppi reazionari chiamati Boxers, la cui filosofia violenta e repressiva venne diffusa all’interno delle scuole di Kung-fu.

Tanti missionari donarono la vita come fece Leone Ignazio Mangin, il testimone di questa domenica. Sacerdote gesuita nato in Francia, venne proclamato santo da papa Giovanni Paolo II per il coraggio dimostrato nel difendere gli abitanti di Tchou-kia-ho, un piccolo villaggio che nel pieno della rivolta accolse orde di rifugiati provenienti da ogni angolo della regione cinese. Senza trascurare l’incarico di curatore di anime fortificò il villaggio e non si nascose, consapevole della sorte toccata ai suoi fratelli gesuiti, colpiti con maggiore crudeltà a causa della determinazione dimostrata nell’evangelizzare e convertire i cuori a Cristo.

Supportati dall’esercito imperiale, i Boxers distrussero il villaggio in cui Leone costruì rifugi e garantì pasti dignitosi a profughi e abitanti. Senza abbandonare la prima linea, Leone nascose più persone possibili all’interno della chiesa ma i reazionari risposero appiccando il fuoco e condannando tutti a una morte dolorosa. Leone morì a causa dei colpi ricevuti ai piedi dell’altare, luogo in cui continuò a somministrare l’Eucaristia e a dare conforto alle vittime fino alla fine.

A cura di Valentina Contiero