Il Vangelo
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Lc 23, 35-43
Il commento
La storia insegna che si sono susseguiti fin dal VII sec. a.C. molti regni come, per esempio, quelli degli assiri, dei babilonesi, dei persiani, dei greci, dei romani. Regni che sono passati lasciando dietro tracce di sangue nonostante avessero promesso un futuro migliore e un mondo nuovo.
Allora ci sorge spontanea la domanda a cui il testo di oggi vuole rispondere. Esiste un regno che non tramonta? Di quale regalità si tratta? C’è una regalità di cui ci possiamo fidare? Il vangelo parla di una intronizzazione perché l’iscrizione sopra il capo di Gesù in croce dice: Gesù, il Re dei giudei. Ma il regno del Signore è diverso rispetto ai regni di questo mondo. Sappiamo che ogni Re ha un trono, ma quello di Gesù è il Calvario.
Il vangelo di Luca utilizza un termine che troviamo soltanto in questo testo e cioè che nel calvario si assisteva a uno spettacolo: raccontandolo, vuole che tutti entriamo a vederlo e contemplarlo, a lasciarci coinvolgere per decidere di seguire il Signore. È lì che Dio manifesta la sua gloria. Siamo invitati a guardare come Gesù affronta la morte: sulla croce vediamo Gesù che non dà ordini ma obbedisce, che ama e dona la sua vita. Di conseguenza anche la nostra vita deve essere donata con amore e per amore.
Se vogliamo parlare di Dio e se vogliamo seguirlo dobbiamo partire dallo spettacolo della croce. Non ha lo scettro, ma ha le mani inchiodate che non hanno mai colpito nessuno. Chiodi e non un bastone: mai nessuno punirà perché ha sbagliato. Siamo noi che vogliamo mettere un bastone nelle mani di Gesù perché punisca chi sbaglia contro di noi, perché questo è il Dio che ci immaginiamo. Luca ci invita ad assistere allo spettacolo per ribaltare i nostri pensieri. Gesù non ha un esercito per difendersi, non ha una guardia del corpo, ma si trova in mezzo a due ladroni.
La lettera agli Ebrei ci ricorda che Gesù non si vergogna di chiamarci fratelli. La prima immagine di Gesù è quella che sta con i poveri già dalla nascita, perché è nato povero. Si fece battezzare da Giovanni Battista perché non era venuto per i giusti. Il Dio che si rivela in mezzo ai due ladroni è il nostro Dio, è stato ucciso e non ha reagito, affronta la passione in silenzio per amor nostro. Gesù non punisce, non giudica, ma ci introduce nel paradiso. Chi crede nel suo regno deve credere in quel Dio che ha dato tutto sé stesso sul calvario.
Lo sforzo o l’invito di questa domenica è di prestare molta attenzione su come si comporta Gesù in croce; dal suo comportamento si capisce quale regno porta in questo nostro mondo. Dobbiamo allontanarci dallo spettacolo della croce battendo il petto per tutte quelle volte che abbiamo cercato il Signore fuori dall’amore gratuito, fuori dal perdono e dalla carità per immaginarlo crudele e vendicativo. Questo è il regno che non tramonta e che vale la pena ancora oggi ricercare. Col finire del tempo Ordinario e l’inizio dell’Avvento, la vera conversione sarà contemplare Gesù in croce per arricchire la nostra vita e liberarla dai tanti pregiudizi.
Simon Pedro Ela Ncogo, Presbitero arborense