Adoratrici Perpetue: il 28 gennaio i 60 anni del Monastero di Oristano

Il 28 gennaio 1963, prima che il monastero di via Vinea Regum di Oristano fosse completato, un primo nucleo di nove monache diede inizio alla presenza sacramentina in città.

Fu madre Modestina, superiora della comunità già presente a Cagliari a pensare a Oristano come seconda comunità sarda delle Adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento. La donazione della sig.ra Rosa De Martis, prima fondamentale benefattrice, alla quale poi se ne aggiunsero tante altre, favorirono la realizzazione del monastero, che compie quest’anno 60 anni, in cui oggi abitano 17 monache di cui sette sarde, tre messicane, cinque spagnole, una cilena e una coreana.

In occasione del sessantesimo anniversario , mons. Titino Usai, cappellano del monastero ha pensato a due momenti celebrativi: una serata, mercoledì 18 gennaio, in cui le monache si sono raccontate ai fedeli che solitamente frequentano il monastero, e una Messa di ringraziamento con la presenza dell’Arcivescovo domenica 29 gennaio. Vogliamo festeggiare questo anniversario celebrando la vita della comunità, ha spiegato mons. Usai. Il nostro è un monastero molto bello ma in queste giornate non vogliamo fare festa per le mura, ma desideriamo fermarci a ringraziare per la vita che abita, ancora dopo sessant’anni, questa comunità. Una vita ricca di storie e che testimonia un grande amore per il Signore.

Durante la sua testimonianza, madre Maria Oriana, attuale abbadessa del monastero, ha sottolineato che l’intera esistenza della comunità è scandita dalla presenza di Gesù Eucaristia, centro di tutto. Ogni giorno affidiamo le nostre vite al Signore affinché tutte possano essere salve. Nel corso della giornata, poi, svolgiamo gli altri compiti. Curiamo l’aspetto spirituale come la preghiera personale e comunitaria, studiamo e proseguiamo nella formazione approfondendo la Parola di Dio. Oltre questo dobbiamo prenderci cura del monastero, assistere le nostre consorelle e, nei momenti di unione fraterna, impegnarci nella condivisione per conoscerci meglio giorno dopo giorno. La conoscenza reciproca, infatti, è un tema importante all’interno della comunità visto il recente trasferimento di alcune consorelle dalla comunità di Barcellona.

Ogni monaca ha un nome, un volto, una storia familiare e culturale che deve convivere in un contesto dove la vocazione delle più giovani, che si incarna in qualcosa di più vicino al nostro tempo, incontra quella preziosa delle più anziane che fa da ponte tra la realtà precedente e quella attuale. Suor Sebastiana, memoria storica della comunità, presente in monastero dalla sua fondazione, a questo proposito, racconta: Quando da giovane decisi di entrare nell’ordine non c’era niente, neanche la struttura. La congregazione di Oristano non aveva soldi ma nel tempo ogni mancanza è stata colmata dalla Provvidenza. La produzione di dolci e gli altri lavori svolti ci hanno aiutato a crescere e ad andare avanti negli anni. Ricordo ancora la preoccupazione dell’economa di fronte alle spese e il sollievo di tutte noi quando al momento del pagamento avevamo le risorse necessarie per saldare i debiti. Da tanti anni il monastero sembra destinato alla chiusura ma ho sperimentato sulla mia pelle che il Signore non ci lascia mai sole neanche nelle situazioni più difficili. Infatti, dopo tanti anni, eccoci ancora qui, ha concluso.

Madre Maria Soledad, che a Barcellona è stata l’ultima abbadessa, ripensando alla sua esperienza ha raccontato che in Spagna la comunità era molto più numerosa e frequentata da tante persone: La nostra casa era molto più piccola rispetto al monastero di Oristano. Qui abbiamo a nostra disposizione gli spazi giusti per vivere la clausura e anche una chiesa più grande. A Barcellona la Chiesa del convento rimaneva aperta dal mattino presto sino alla notte ed era molto frequentata, ci piacerebbe ricreare quell’ambiente anche qui a Oristano.

Al termine della sua testimonianza, madre Maria Oriana ha spiegato che la carità e l’amore che nascono dalla comunione sono lo strumento essenziale perché consorelle tanto diverse tra loro possano dirigere sempre il loro sguardo a Cristo: Abbiamo in comune la stessa vocazione. Ovviamente non sempre è facile ma nei momenti più difficili basta ricordare che siamo state chiamate a fare questo per il Signore. Per questo abbiamo ricevuto la grazia di essere felici in una comunità molto ricca nella diversità ma altrettanto unita nel tentativo di amare Dio e i fratelli.

A cura di Valentina Contiero, foto di Alessandra Chergia

Pubblicato su L’Arborense n. 3 del 2023