Quando si pensa alla Trinità, per lo più viene in mente soltanto l’aspetto del mistero: sono tre e sono uno, un solo Dio in tre persone.
Invece, la liturgia di domenica 4 giugno attira la nostra attenzione sull’aspetto dell’amore (Agape) che viene espresso dalla Trinità.
Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno, perché Dio è Amore: il Padre dà tutto al Figlio; il Figlio riceve tutto dal Padre con riconoscenza; e lo Spirito Santo è come il frutto di questo amore reciproco del Padre e del Figlio. È Gesù stesso, nel dialogo con Nicodemo, che approfondisce questo concetto: Dio infatti ha tanto amato il mondo (Kosmos) da dare il Figlio unigenito. Il soggetto è Dio Padre, origine di tutto il mistero creatore e redentore, che ama così tanto il mondo da donargli suo figlio.
L’evangelista Giovanni, su questo concetto, ci offre due riferimenti. Il primo in Gv 1,9-10: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il Kosmos non lo ha riconosciuto. In Gv 1,29, invece, Gesù viene presentato così dal Battista: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive. Questo è ciò che rende il capitolo 16 di Giovanni particolarmente interessante perché dice come Gesù ama il mondo: amare chi ti ama è abbastanza normale, ma amare chi ti odia è davvero straordinario.
Gesù è stato inviato per salvare coloro che gli si oppongono: Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (1Gv 4,16). I verbi amare e dare indicano un atto decisivo e definitivo che esprime la radicalità con cui Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore. L’oggetto e il beneficiario dell’amore divino è il mondo, cioè l’umanità. È una parola che cancella completamente l’idea di un Dio lontano ed estraneo al cammino dell’uomo, e svela, piuttosto, il suo vero volto. Dio non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono.
Capire questo significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con la morte in Croce egli rivela il volto di amore di Dio. E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una speranza affidabile, quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne.
Paolo conclude la sua lettera ai Corinzi con un triplice augurio di grazie, in cui nomina le tre persone della Trinità: La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi. Di questo saluto finale della lettera di Paolo si appropria la liturgia per precisare che l’amore di Dio Padre indica in modo ancor più chiaro che si tratta di una formula trinitaria, dove i tre termini che vengono associati alle tre persone divine esprimono l’amore.
Accogliamo con gratitudine questa rivelazione, e cerchiamo di realizzarla sempre meglio nella vita di ogni giorno: nella vita di preghiera, nella vita pastorale, nella vita familiare e nella vita di lavoro.
A cura di suor Nolly Josè Kunnath, Figlia di San Giuseppe
Pubblicato su L’Arborense n. 20 del 4 giugno 2023