Domenica prossima inizieremo il tempo forte dell’Avvento! A Messa il sacerdote farà notare ai bambini il colore viola dei paramenti e magari verrà accesa la candela della prima settimana, ma terminata la celebrazione, dentro le nostre case, desideriamo dare uno spessore diverso a questo periodo di preparazione al Natale che la Chiesa ci offre? Se ci lasciamo suggestionare dalle manifestazioni esteriori che detta il mondo del consumo, i giorni precedenti le festività natalizie o arrivano troppo presto – per cui nei negozi si trovano luminarie ed addobbi ogni anno sempre prima e talvolta permanenti – o sembrano arrivare troppo tardi, costringendo le famiglie alla spasmodica ricerca di fare comunque regali e presenti perché questo vuole una tradizione da mantenere, nonostante gli affanni d’umore e portafoglio. Anche in questa occasione il tempo liturgico propone un’alternativa controcorrente che è quella di prepararsi alla venuta di Gesù, non con una frenesia autoreferenziale in cui i protagonisti siamo sempre e solo noi, ma nella dimensione quieta e meditativa dell’attesa.
Attendere il Signore che viene significa maturare dentro di noi la gratitudine e lo stupore del mistero dell’Incarnazione che realmente si compie anche quest’anno. Non viviamo solo un ricordo di un evento avvenuto tanto tempo fa, ma l’esperienza di un incontro sempre nuovo con una persona che bussa alla nostra porta e ci chiede di entrare. In quest’ottica perché non pensare di predisporre un punto della nostra casa che ci ricordi che stiamo aspettando qualcuno? Potrebbe bastare un’icona messa maggiormente in evidenza, magari con una lampada. Quest’ultima potrebbe essere accesa, ogni sera, il tempo in cui tutti i membri della famiglia si riuniscono per un breve momento di preghiera. Tanti sono i brani che ci possono sintonizzare sui grandi modelli biblici dell’attesa, a cominciare dai profeti, fino a Giovanni Battista e in ultimo, in modo ineffabile, a Maria. In ascolto della Parola – per esempio di tutto il primo capitolo del Vangelo di Luca – potremo riconoscer come la volontà di Dio di compromettersi nella (nostra) storia si compie sempre attraverso l’accoglienza e la disponibilità di uomini e donne che ci hanno preceduto e ci invitano ad offrire anche noi la nostra quotidianità perché il Signore la fecondi con il suo amore e divenga speranza per tutti.
Questo è un tempo in cui, particolarmente, le nostre menti sono quasi assuefatte a ricevere notizie all’insegna della guerra, della violenza, della sopraffazione. Collegarsi con un qualsiasi notiziario significa essere pronti a recepire nella logica dello scontro e della contrapposizione la maggioranza delle informazioni, portatrici di dolore e sofferenza… Quanto potrebbe essere salutare ridurre, nel tempo di Avvento, l’esposizione ai bombardamenti mediatici, per creare in casa anche un breve spazio di silenzio e di pace, in cui davvero, ben più che con una partecipazione che spesso si riduce a curiosità, possiamo sperare di intercedere per le vittime dei conflitti che insanguinano il mondo? Ci immaginiamo che in questo contesto, il dialogo fra le generazioni possa essere esso stesso strumento di pace. I piccoli, forti della loro semplicità, infondono fiducia ai grandi; i grandi e ancor più gli anziani, possono fare dono della loro maggiore esperienza e suggerire come evitare errori del passato. Anche così si prepara la storia perché possa essere ancora una volta grembo del Signore che nasce.
Infine il tempo dell’Avvento, ci invita ad avere il coraggio di accogliere l’Altro per eccellenza, nella pienezza del Suo mistero, proprio in un contesto in cui sull’estraneo e diverso da noi si riversano pregiudizi e sospetti. Fare spazio a Dio che si fa uomo ci porta inevitabilmente a riconoscere Gesù nel volto di ogni uomo che incontriamo. Attendere Gesù ci sprona ad ammettere che tutti desideriamo essere attesi, che tutti abbiamo bisogno del calore di un abbraccio. Lungi dall’essere facile buonismo, vivere l’attesa del Natale ci suggerisce uno stile che possiamo vivere in ogni luogo e momento della giornata. A scuola, sul lavoro, nei tanti incontri per la strada, anche solo un saluto più accorato, con più slancio, con il sorriso di un ottimismo gratuito può farsi benedizione, un “dire bene” dell’altro (ben più di un generico augurio) e ricordargli che il Signore sta venendo, ancora, anche per lui.
Giovanni M. Capetta, Agensir