Oristano. Etica della comunicazione: schema incontro coi giornalisti

Etica della comunicazione

1. La Comunicazione oggi

1.1. “Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”. Oggi come oggi, la comunicazione non è fatta soltanto di parole, ma anche di immagini. Spesso le forme di comunicazione per immagini sono molto più efficaci delle parole. La mescolanza fra parole ed immagini – nonché il modo in cui vengono messe assieme – può determinare un orientamento delle coscienze e della mentalità molto più efficacemente che per mezzo di un discorso argomentato.

1.2. La comunicazione, in realtà, non è mai “angelica”. Comunicazione e strategia sono intrecciate fra loro. Per il fatto che comunichiamo attraverso le parole o le immagini siamo sempre esposti al rischio di condizionarci e di sopraffarci. In ogni parola e in ogni immagine è simbolicamente nascosto un elemento di potere. Maggiore è la consapevolezza di questa realtà, maggiore sarà il grado di libertà che si vive e della crescita culturale e conoscitiva che si ottiene.

1.3. La nostra società è fondata essenzialmente sul mercato e l’efficacia di un messaggio o di un programma viene valutata in base alla loro capacità di essere recepiti. Molti sono convinti che inseguire la presunta “domanda” sia il modo migliore per produrre dei messaggi culturalmente validi. Spesso e volentieri si adotta come principio etico l’idea del “così fan tutti”: siccome la maggioranza della gente si comporta in un certo modo, bisogna adattarsi a tale realtà. Dato che tutte le persone preferiscono programmi e libri divertenti o di svago, non resta che trasmettere programmi di intrattenimento, ecc.

2. L’etica della comunicazione

Quale tipo di etica è necessario, in questa fase, per fronteggiare le sfide della comunicazione, dell’informazione e delle relative tecnologie?

2.1. Una sfida etica decisiva sta nella selezione, nel grado di priorità da dare alle diverse informazioni e, soprattutto, nella maggiore o minore legittimità nel divulgare determinate notizie. Poiché, di fatto, non esiste una comunicazione totalmente disinteressata si deve perseguire un ideale di comunicazione tentando di liberare il più possibile il nostro linguaggio da elementi strumentali e di dominio. Nel perseguire questo scopo, però, bisogna sempre essere consci del fatto che esso non potrà mai essere raggiunto fino in fondo e che vi sussisteranno degli elementi di condizionamento, a volte inconsapevoli. Ad ogni modo, inseguire la cosiddetta volontà dell’audience è un modo sbagliato di presentare la funzione dei mezzi di comunicazione di massa e la relativa cultura.

2.2. “La verità che cerchiamo di condividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quantità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua integrità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquandola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un momento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede una libera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale della rete, esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto ai volti concreti dei fratelli e delle sorelle con cui condividiamo la vita quotidiana. Per questo rimangono sempre fondamentali le relazioni umane dirette nella trasmissione della fede”!

2.3. “Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscienza rispetto ai possibili rischi. Chi è il mio “prossimo” in questo nuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di essere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Abbiamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? E’ importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita”.

2.4. “Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vi può essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimonianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuove forme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui” (cfr 1Pt 3,15). (Benedetto XVI)

3. La comunicazione e la sfida educativa

“Certamente l’istituzione scolastica fa tutto quello che può, specialmente attraverso l’impegno serrato di una moltitudine di docenti e operatori, competenti e generosi. Eppure, questo dispiegamento di disponibilità pare non bastare, tanto è grande e delicata oggi «la sfida educativa». Per questo deve entrare in campo la società nel suo insieme, e dunque con ciascuna delle sue componenti e articolazioni. Se la scuola – come oggi si intende – dev’essere «comunità educante», bisogna convincersi con una maggiore risolutezza che la società nel suo complesso è chiamata ad essere «comunità educante». Affermare ciò, a fronte di determinati «spettacoli», potrebbe apparire patetico o ingenuo, eppure come Vescovi dobbiamo caricarci sulle spalle anche, e soprattutto, questo onere di richiamare ai doveri di fondo, di evidenziare le connessioni, di scoprire i pilastri portanti di una comunità di vita e di destino. Se si ingannano i giovani, se si trasmettono ideali bacati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scintillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcente della realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le mentalità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale. È la speranza, pane irrinunciabile sul tavolo dei popoli, a piegarsi e venire meno. Il cuore dei giovani tende − per natura − alla grandezza e alla bellezza, per questo cerca ideali alti: bisogna che essi sappiano che nulla di umanamente valevole si raggiunge senza il senso del dovere, del sacrificio, dell’onestà verso se stessi, della fiducia illuminata verso gli altri, della sincerità che soppesa ogni proposta, scartando insidie e complicità. In una parola, di valori perenni”. (Card. Bagnasco)