oristano. Omelia per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce

Cari fratelli e sorelle,

la celebrazione della solennità liturgica dell’esaltazione della Santa Croce, come sempre, è un’occasione privilegiata per riflettere sulla dimensione fondamentale della nostra vita cristiana: quella di essere  e sentirsi salvati dalla croce del Cristo. Questa riflessione, anzitutto, ci permette di purificare il concetto di Dio. Se c’è, infatti, un’immagine distorta di Dio, capace di deformare il suo essere ed il suo agire con gli uomini, è l’idea del Dio che “manda” le croci. Il linguaggio di tutti i giorni, compreso quello improprio dei politici, utilizza frasi come queste: “ognuno ha la sua croce”; “sopportiamo la croce che il Signore ci ha dato”, ecc. In tutte queste espressioni, per “croce” si intendono le inevitabili tribolazioni che incontriamo nella vita. Se confrontiamo, però, i nostri modi di dire e di pensare con quanto insegnano i vangeli, vediamo che nel NT la figura della “croce” non viene mai associata con la tribolazione dell’uomo. Della settantina di volte (73) che nel NT si parla della croce, non si trova una sola espressione che la indichi come una sofferenza che ogni uomo deve accettare e sopportare. Le sofferenze, le malattie, i lutti, le difficoltà di relazione interpersonale, nel NT vengono chiamate sempre col loro nome e non vengono mai confuse con il significato che la “croce” ha assunto, invece, nell’insegnamento e nella morte di Gesù. Il vangelo di oggi ci dice che la croce, in definitiva, per un verso, rende visibile l’amore del Padre al mondo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…” (Gv 3,16) e, per un altro verso, manifesta pienamente l’identità e la missione di Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8, 28).