Un viaggio tra i profughi cristiani dell’Iraq, che attualmente si trovano in Turchia, nel diario che padre Jihad Youssef scriveva sul cellulare, la notte, al vescovo dell’Anatolia mons. Paolo Bizzetti tra la settimana santa del 2016 e l’agosto del 2017.
La cronaca spoglia ed essenziale di una missione tra la gente fuggita da guerre e tormenti indicibili, che cerca un po’ di normalità unicamente nella presenza di un prete che possa placare la sua “fame e nostalgia di Eucaristia”.
Quella cronaca informale ora è diventata un libro che scuote le coscienze intorpidite di noi cristiani d’Occidente, spesso stanchi e sfiduciati, persino annoiati, raccontando di una fede viva, capace di alimentarsi di preghiera nella disperazione senza fine della guerra e della persecuzione dell’Isis. Padre Jihad porta nel nome, che in arabo significa “sforzo”, tutta la tensione verso un mondo senza più guerre e inimicizie, e racconta con semplicità l’esperienza della sua comunità nel monastero di Mar Musa di Nebek, in Siria, in cui monaci e monache vivono di preghiera e di lavoro, e hanno ormai scoperto nell’accoglienza di centinaia di profughi, non importa se cristiani o musulmani, il senso di essere là dove più profondo è il bisogno di Dio e più urgente la necessità di un luogo dove trovare scampo.
Fondata da padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita “innamorato dell’Islam”, in una porzione di Medio oriente in cui da troppi anni opposti e convergenti interessi politici, militari, economici si scontrano sulla pelle delle popolazioni inermi , la comunità è segno di speranza e di pace , soprattutto da quando, in pieno assalto dell’Isis, i monaci decisero di non abbandonare la loro gente per condividerne il destino e dare un aiuto concreto alla ricostruzione. Chiese un tempo splendide e fiorenti, ma violate, bruciate, distrutte dalla furia fondamentalista, sono diventate per la gente case in cui si vive e si prega insieme e si pratica un incontro non teorico né retorico tra culture e religioni. Di Padre Dall’Oglio, scomparso misteriosamente nel 2013 mentre tentava di avvicinarsi alle postazioni dell’Isis per cercare un impossibile dialogo, della sua generosità, del suo essere fedele alla vocazione di gesuita proprio nel cercare Dio tra tanti e diversi cercatori di Dio, del suo appassionato dialogo con l’Islam fatto di incontri tra persone, raccontano, con p. Jihad, il gesuita p. Gabriele Semino e l’islamologo Alessio Pinna.
Ma domande quali con chi schierarsi nella guerra in Siria, o che cosa subito si possa fare per cambiare questa situazione di tragica sofferenza, trovano risposte, per noi occidentali, ancora una volta inaspettate perché richiedono una cura artigianale delle relazioni a cui non siamo più avvezzi, una saggezza improntata alla lentezza e alla pazienza: educare i giovani al rispetto, alla tolleranza, alla pace, cercare il bene della gente che soffre, promuovere il dialogo tra religioni dal basso, con l’incontro e il dialogo tra le persone.Chi si aspettava solo la presentazione di un libro o il ricordo di un grande uomo, ha avuto il regalo di una lezione di vita.
Luisanna Usai