Quel che abbiamo udito e conosciuto, e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai loro figli (Sal 78,3).
In questi giorni stiamo conoscendo il Covid-19 o Coronavirus.
Mia nonna l’ha chiamato con una parola semplice e concisa: sa pesta. Chi ha avutola fortuna di nascere e crescere nel sardo quotidiano, sa che con essa s’indicano le pestilenze e varie malattie di piante o animali. Cosa ci raccontano i nostri padri de sa pesta?
Per il mio paese, Silì, gli anziani raccontano che, durante l’epidemia dell’influenza spagnola, le persone invocavano la protezione dell’arcangelo Michele. Stando alle loro testimonianze, per la sua intercessione, il nostro paese fu risparmiato da questa pestilenza. Sempre nel 1917 i siliesi si appellarono a Michele arcangelo, affinchè li sostenesse nel momento in cui s’unda del Tirso devastava una parte del nostro paese.
Studiando la storia del culto micaelico nel nostro paese, mi sono chiesto il perché di questa domanda così forte all’arcangelo in momenti di calamità e pestilenze. Il motivo, forse, l’ho trovato in uno scritto, che fa parte della nostra storia paesana. Nella Novena de Santu Micheli Arcangelu, scritta nel 1937 a Silì dal rettore Michele Sechi da Nureci.
Nella Segunda dì della novena, Nonnu Sechi, come Esemplu, sceglie il racconto dell’apparizione di San Michele a Roma. Scrive: In s’annu 590 essendu Summu Pontifici S. Gregoriu Mannu, una terribili pesti devastada sa Cittadi de Roma, e medas centinaias de personas moriant dogna dì vittimas de sa terribili maladia. Sono diverse le analogie con la nostra storia: un fiume, il Tevere, che esonda e provoca morte e distruzione; una pestilenza, la lues inguinaria, che decima la popolazione. Davanti a questa situazione, San Gregorio ordina che una dì portendu in processioni s’immagini de Maria de Aracoeli a sa Basilica de S. Perdu, si facessero publicas pregadorias per chiedere l’inter-
vento divino. Il racconto, poi, continua narrando che, sulla Mole Adriana, apparve Michele con una spada terribili che riponeva nel fodero, in signali chi giai cessada fiada sa pestilenzia. Assieme a quest’apparizione, si racconta che attorno all’immagine della Vergine, un gruppo di angeli cantasse il Regina coeli.
Nonnu Sechi scrive: Po mesu duncas de S. Micheli, e de sa SS.ma Virgini, Roma fiat stetia liberada de cussu terribili flagelu. Qualche riga più avanti, l’autore spiega il motivo della scelta di questo racconto e risponde alla questione inziale: Eccu comentiinis publicas calamidadis, S. Micheli consolada chini dd’invocada e dd’onorat.
Ho voluto riportare questo racconto per ricordare due cose: la prima è non dimenticare cosa hanno fatto i nostri padri in situazioni simili a quella che stiamo vivendo in questi giorni; la seconda, che nasce dalla prima, è non aver paura di rivolgersi a“chi sta in alto”.
La nostra diocesi è legata specialmente alla Santa Vergine, venerata col titolo del Rimedio. Non scordiamo mai che i nostri padri,rivolgendosi a lei, cantavano: Conoschinde sa clemènziadei Bois, Virgen sagrada, bénitsa zente affannada un votos e reverenzia, dande pro dogni dolènzia consolu meighinale.
Nella dimensione della fede, noi abbiamo l’arma forte della preghiera. Noi, oggi, possiamo, come ieri i nostri padri, rivolgerci alla Vergine ed all’arcangelo Michele, chiedendo che protegga le nostre famiglie, le comunità, i medici, il personale sanitario e i volontari da questa malattia così virulenta.
In questo modo, domani, quando tutto sarà passato, diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza e le meraviglie che egli ha operate (Sal 78, 4).
A cura di Giovanni Licheri.
Pubblicato su L’Arborense del 22 marzo 2020.
Precedenti pubblicazioni
- Primo approfondimento. Lassa, omine, su peccau
- Secondo approfondimento. Digiuno: battaglia intima.
- Terzo approfondimento. Maria isconsolada.