La liturgia della XXI domenica del Tempo Ordinario ci immette nella logica del mistero della chiamata dell’uomo da parte di Dio. Non si tratta, in prima battuta di un ruolo o un’autorità, quanto della pienezza dell’esistenza umana.
In primo luogo, riconoscere chi si è, per poi assumere la dinamica di essere per . I due movimenti non sono scollegati o giustapposti, ma si richiamano a vicenda. La scoperta autentica di se stessi apre al servizio comunitario e, insieme, la sinergia nella vita comunitaria fa rifulgere il talento personale.
Nella prima lettura, la voce dirompente di Dio richiama ad una novità folgorante: il chiamato si riveste della propria identità. La tunica, la cintura e le chiavi sono segni evidenti del mistero profondo della ricchezza di Dio, richiamata da Paolo nella II lettura.
Il testo evangelico inizia con un sondaggio del Maestro sulla percezione popolare della sua identità. Il “sono venuto per servire” deve essere compreso a partire da “chi egli sia”. La risposta lapidaria di Pietro è una conquista che il pescatore di Cafarnao e il lettore del vangelo possono pronunciare di impeto, ma devono avere la pazienza di acquisire nel tempo del cammino.
Il ripetersi del simbolo delle chiavi non dà a Pietro autorità indiscussa su tutto e su tutti, come fosse il padrone assoluto di un regno, peraltro non suo! La sua figura è simile a quella del maggiordomo, del ciambellano di corte, del foresterario di un monastero. Tutte figure al servizio di chi comanda e, soprattutto, della comunità di riferimento.
Ogni usurpazione di potere è una violenza alla chiamata identitaria e comunitaria, poiché annulla la grandezza dell’identità e irrigidisce la duttilità della trasparente diaconia ecclesiale. Pertanto, non si tratta di enfatizzare o sminuire il ruolo di Pietro, quanto di riconoscere il compito di servire la comunità attraverso il delicato compito del discernimento della chiamata e delle chiamate.
A cura di Michele Antonio Corona.