In questa domenica del tempo ordinario potremmo individuare tre simboli importanti: il fuoco, l’acqua e il legno. Sono tre elementi cardine della vita quotidiana, poiché esprimono da una parte il desiderio della purificazione e dall’altra determinano il sostegno o lo spegnimento della fiamma (vita).
Nella lettura del brano evangelico, centro e apice della liturgia della Parola, ritroviamo Pietro, che era stato protagonista del brano di domenica scorsa. Lì aveva ricevuto il compito di servire i fratelli e custodire il dono di Gesù, divenendo così modello del discepolo che non possiede il regno di Dio, ma in esso è inserito e per esso lavora. Nel brano odierno Pietro si pone in contrapposizione con la parola del Maestro: non sia mai!
La rigidità del pescatore di Cafarnao giunge improvvisa e perentoria per rifiutare il dono della salvezza che passa attraverso la carne. Certamente, la prima comunità cristiana aveva (e dovrebbe ancora avere oggi) nella croce e resurrezione di Gesù il centro focale della vita di fede e dell’annuncio del Vangelo. Per questo, l’opposizione di Pietro non si può applicare ad una sola persona, ma è ancora una volta rappresentativa di una mentalità comune e condivisa: accogliere la salvezza senza passare dalla Croce.
La sofferenza, la molta sofferenza, di cui Gesù parla non è tanto una prerogativa fisica o cruenta, ma è un dato esistenziale. Il soffrire fa parte dell’esperienza dell’uomo a livello fisico, spirituale, morale, affettivo, relazionale, volitivo… In questo senso possiamo capire maggiormente come il legno, ovvero la croce, sia connesso con il fuoco di cui parla Geremia nella prima lettura. Il profeta è intimamente combattuto nella decisione di continuare la missione profetica tra la forza del fuoco divorante che lo muove e il continuo smacco dell’annuncio ai fratelli. Sebbene senta il desiderio di arrestare il suo operato, il calore e la luce di quel fuoco non gli permettono di fermarsi.
Questa forza impellente, chiara per Gesù, non è compresa da Pietro e da ogni credente che non vuole passare per la pazienza della vita. San Paolo nella seconda lettura sottolinea il modo con cui il battezzato vive l’esperienza della Croce: un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio è il vostro culto spirituale. Dunque, nessuna vita e nessuna esperienza umana sono escluse dall’andare dietro a Gesù prendendo la propria croce.
Infine, il salmo responsoriale evoca il terzo simbolo: l’acqua. L’immagine della sete di una cerva nel deserto chiarisce ancora meglio il dirompente desiderio di Dio, della salvezza e della vita.” Ha sete di te, Signore, l’anima mia ” è il grido che la liturgia ci propone di ripetere non solo con le labbra, ma con l’intera nostra esistenza sull’esempio di Geremia e, ancor più, in modo definitivo di Gesù.
Legno, acqua e fuoco ci ricordano l’esigenza fondamentale di accogliere totalmente la vita nei suoi aspetti più variegati e complementari, per poter discernere ciò che è buono e gradito a Dio per condurre una vita integrale e integrata.
A cura di Michele Antonio Corona